giovedì 31 marzo 2016
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Il blitz e le denunce. A meno di un mese dal referendum sulle trivelle, Greenpeace presenta 30 denunce alla magistratura e lancia una nuova operazione mediatica in grande stile. L’associazione ambientalista, schierata nel fronte del 'sì' all’abrogazione della norma che consente alle società petrolifere di effettuare ricerche ed estrazioni di idrocarburi entro 12 miglia dalle coste italiane, ha presentato in altrettante Procure della Repubblica un esposto contro gli impianti che, a suo dire, non opererebbero nel rispetto degli standard di qualità ambientale stabiliti dal go- verno. Nel rapporto pubblicato da Greenpeace il 3 marzo scorso, infatti, vengono resi noti per la prima volta i piani di monitoraggio di 34 strutture di proprietà Eni dai quali si desumerebbe che, in tre casi su quattro, esisterebbero rischi per l’ecosistema e per la salute dei cittadini a causa di sostanze inquinanti presenti oltre i limiti previsti dalla legge. Esiste poi il problema dei mitili raccolti intorno alle piattaforme offshore dove sono state rilevate concentrazioni talvolta preoccupanti di metalli pesanti e idrocarburi. Con l’esposto, Greenpeace «invita le autorità competenti a intervenire per verificare la correttezza e completezza delle analisi ambientali svolte sulle piattaforme e la commestibilità delle cozze in questione, messe in commercio da anni senza alcuna indicazione specifica che permetta ai consumatori un acquisto consapevole». Per sensibilizzare anche mediaticamente l’opinione pubblica sul referendum del 17, Greenpeace ha poi promosso una protesta pacifica presso la piattaforma Agostino B, al largo di Marina di Ravenna, dove ha innalzato due enormi striscioni. «Ancora una volta assistiamo ad un gesto illecito e provocatorio da parte di un’associazione che senza il minimo scrupolo e in spregio ad ogni supporto scientifico, attacca l’estrazione di gas in Adriatico» è stata la replica, in una nota, delle aziende del settore offshore ravennate. La struttura oggi produce circa un quindicesimo di quanto produceva nel 1980 ma, nonostante ciò, le concentrazioni di metalli pesanti e idrocarburi policiclici aromatici registrate nei sedimenti che la circondano avrebbero superato i valori nel 2011, nel 2012 e nel 2013. «Le circa 90 piattaforme interessate dal quesito referendario – ha commentato Andrea Boraschi di Greenpeace – sono strutture vecchie e improduttive, che versano spiccioli nelle casse pubbliche e spesso inquinano». © RIPRODUZIONE RISERVATA L’OFFENSIVA/2. Attivista sul sito L’OFFENSIVA/1. Gli striscioni di Greenpeace al largo di Marina di Ravenna
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