giovedì 27 settembre 2018
Battaglia finale sul Def aggiornato (con ipotesi di dimissioni). Di Maio chiede passi avanti. E attacca Moscovici: stia zitto
Il ministro dell'Economia, Giovanni Tria (Ansa)

Il ministro dell'Economia, Giovanni Tria (Ansa)

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L’ora X dei conti pubblici è fissata per questo pomeriggio, forse alle 18. Ma lo spazio accanto alla riga del deficit programmato per il 2019 è ancora drammaticamente vuoto. E lo sarà fino all’ultimo quando, prima del Consiglio dei ministri, si dovrebbe tenere - al rientro del premier Conte dall’assemblea Onu - l’ennesimo vertice governo-maggioranza reclamato ieri a gran voce dal vicepremier Luigi Di Maio: «C’è ancora tanto lavoro da fare», ha detto il capo di M5s. Un messaggio che fa capire come sia altissima la tensione attorno al ministro dell’Economia, Giovanni Tria, tutto intento a presidiare la "linea Maginot" di un disavanzo all’1,6% del Pil (il limite ufficiosamente contrattato con la Ue), al massimo "ritoccabile" all’1,9%. Una tensione segnata da messaggi inviati dal titolare di via XX Settembre e che qualcuno interpreta come un possibile preludio a uno sbocco clamoroso: le dimissioni, se costretto.

La sostanza della contesa non cambia, con i due partiti del governo giallo-verde che spingono - M5s un po’ più della Lega, a dire il vero - per un obiettivo finale al 2,4% per il rapporto deficit/Pil, in modo da dare segnali forti ai rispettivi elettori sulle promesse fatte. Proprio alla vigilia del varo della Nota di aggiornamento al Def, il documento di economia e finanza (questo avviene oggi nel Cdm), il ministro "suggerito" da Paolo Savona - e ben visto anche dal Quirinale - ha scelto di parlare in pubblico per ribadire i suoi "paletti", Lo ha fatto a un convegno di Confcommercio, spiegando perché continua a difendere la sua posizione: «Ho giurato sull’esclusivo interesse della nazione e non di altri, e non ho giurato solo io ma anche gli altri. Interpretare bene questo mandato è quello che stiamo cercando di fare». Parole che non sono risultate gradite ai due vicepremier del governo, col leghista Matteo Salvini che a sera gli ha replicato bruscamente: «Anch’io sono fedele all’interesse degli italiani, cioè che tornino a lavorare e pagare meno tasse».

Giuramenti a parte, per tutto il giorno è Di Maio a cercare la sponda di Salvini, che cerca di smorzare la tensione spiegando che un’intesa di massima c’è e che «nessuno fa o farà gesti eclatanti per uno zero virgola». Conte è chiamato ancora una volta a mediare: «Saprete dopo il Cdm se si andrà oltre il 2%», si limita a dire da New York. Il ministro Tria ha aggiunto altri elementi: ha detto che il calo delle tasse partirà dalle imprese (l’Irpef è rinviata al 2020) ed è stato cauto sul reddito di cittadinanza, vessillo grillino: ha sì detto che sarà in manovra, aggiungendo che servirà «permettere più facilmente le trasformazioni del tessuto produttivo che creano problemi transitori nel tessuto sociale». E ha ribadito che bisogna disegnare una «manovra di crescita», ma che non crei «dubbi sulla sostenibilità del nostro debito pubblico». Una combinazione impossibile se si va oltre il 2%, cifra che farebbe peggiorare il saldo strutturale di bilancio.

Il Movimento, invece, non si accontenta: bisogna smontare la legge Fornero sulle pensioni e bisogna fare il Reddito per «cancellare per sempre la povertà assoluta», proclama con enfasi Di Maio su Fb dopo aver minacciato l’altroieri di non votare il documento se così non sarà. Per fare tutto, però, serve il deficit al 2,4%, che significa liberare un maggiore indebitamento di 13-14 miliardi rispetto all’1,6% di Tria (a sua volta già una "deviazione" necessaria ad annullare gli aumenti Iva). Gli impegni con l’Ue, incalza Di Maio, saranno rispettati nel senso che si starà «sotto il 3%», con buona pace del commissario Pierre Moscovici che ci chiede di stare entro il 2%. «Non può certo farci la morale», attacca il vicepremier, visto che chiede di rispettare regole che «per primo ha violato da ministro francese, non sarà certo un euroburocrate a fermarci». La manovra ’19, intanto, potrebbe moltiplicarsi con una serie di collegati. Tra le ipotesi salgono, forse fino a 1,5 miliardi, i fondi per risarcire i risparmiatori truffati delle banche e spunta il rilancio, dal 2020, della lotteria degli scontrini fiscali, già prevista in passato ma poimai attuata.

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