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Che il boss Matteo Messina Denaro sarebbe stato tutelato per lunghissimo tempo da persone conosciutissime dalle forze dell’ordine è un fatto che «disorienta». Così ieri, nero su bianco, ha scritto il gip del tribunale di Palermo, Alfredo Montalto, nell’ordinanza di custodia cautelare che ha portato in carcere Laura Bonafede.
A oggi l’insegnante di scuola materna, sospesa, figlia del boss defunto Leonardo, è l’ottava pedina caduta della rete di protezione che ha assicurato una «normale esistenza» a Matteo Messina Denaro. Quest’ultimo per la sua latitanza non si è affidato a soggetti sconosciuti e inimmaginabili.
La famiglia Bonafede è conosciuta agli inquirenti. A partire dal padre Leonardo (scomparso qualche anno fa), che fu reggente della famiglia di Campobello di Mazara e amico di Francesco Messina Denaro, padre di Matteo. Ma c’è anche il marito di Laura Bonafede, Salvatore Gentile, che sta scontando l’ergastolo in un carcere della Sardegna.
Soggetti finiti sotto controllo anche in diverse inchieste che si sono susseguite negli anni proprio tra Campobello e Castelvetrano, «senza che, tuttavia, sia stato possibile acquisire altro che non labili tracce della presenza del latitante».
Il gip è duro: «Le investigazioni destano sconcerto, perché mettono in luce l’incredibile e inspiegabile insuccesso di anni e anni di ricerche in quella ristretta cerchia territoriale compresa tra Campobello e Castelvetrano».
Un pezzo di provincia di Trapani definito ad alta densità mafiosa, «costantemente setacciato e controllato con i più sofisticati sistemi di intercettazioni e di videosorveglianza in tutti i luoghi strategici che, tuttavia, non hanno impedito al latitante di vivere una “normale” esistenza», scrive ancora il gip. Ieri, con l’arresto di Laura Bonafede e con la figlia Martina Gentile indagata (il pm ha chiesto gli arresti domiciliari ma il gip li ha negati), si è fatta luce sugli ultimi anni di latitanza di Matteo Messina Denaro e sul fatto che la Bonafede era in rapporti col boss da molto tempo. Sin dal 1997, quando si sono conosciuti, instaurando poi un rapporto quasi familiare, che ha coinvolto anche la figlia di lei, Martina.
I pm affermano che il rapporto sarebbe durato dal 2007 sino al 2017, quando venne interrotto a seguito di un’ennesima operazione di polizia, per poi riprendere negli ultimi anni, sino all’arresto del 16 gennaio scorso.
Si conoscevano bene Messina Denaro, Laura Bonafede e la figlia Martina, al punto tale che nelle missive hanno utilizzato un «codice linguistico complesso». Nomi criptati come “Depry” (era il boss), “Venesia”, “Blu” (Laura Bonafede), “Rubinetto” (Paolo De Santo), “Rubinettino” (Antonino De Santo) e poi “Macondo” (Campobello di Mazara) e “Macondino” (località Tre Fontane), “Tramite” (Lorena Lanceri), “Squallido” (clinica “La Maddalena”). Dall’indagine dei carabinieri del Ros è emerso anche che Laura Bonafede e Matteo Messina Denaro, nell'ultimo periodo avrebbero programmato due appuntamenti fissi a settimana: il sabato mattina (l’insegnante era libera dal lavoro) e il lunedì, destinato allo scambio della corrispondenza clandestina.
Le indagini, sino ad ora, hanno dato certezza che almeno dal 2017 il latitante vivesse a Campobello di Mazara. Al momento sono otto gli arrestati: oltre a Laura Bonafede, Giovanni Luppino (l’autista che lo ha accompagnato a Palermo il 16 gennaio scorso), Andrea Bonafede senior (che ha prestato l’identità al boss), il medico Alfonso Tumbarello che ha prescritto le ricette mediche, Andrea Bonafede junior, “postino” delle prescrizioni del medico al latitante, Rosalia Messina Denaro, sorella del boss che avrebbe tenuto i conti e poi i coniugi Lorena Lanceri ed Emanuele Bonafede, suoi vivandieri.
Il gip: il boss faceva una vita "normale", senza nascondersi troppo
(Redazione Internet) "Quel che disorienta è che in tutto questo lunghissimo arco temporale la tutela della latitanza di Messina Denaro è stata affidata, non a soggetti sconosciuti ed inimmaginabili bensì ad un soggetto conosciutissimo dalle forze dell'ordine e cioè a quel Leonardo Bonafede da sempre ben noto, oltre che come reggente della 'famiglia' mafiosa di Campobello di Mazara, soprattutto per la sua trascorsa frequentazione ed amicizia con i[ padre di Messina Denaro" scrive il gip Alfredo Montalto nell'ordinanza di custodia cautelare, chiedendosi, nemmeno tanto tra le righe, come Laura Bonafede, intercettata dalla polizia almeno fino a due mesi prima della cattura del capomafia, abbia potuto beffare gli investigatori.
Le indagini dei carabinieri del Ros seguite alla cattura del padrino, secondo il giudice, "mettono in luce l'incredibile ed inspiegabile insuccesso di anni ed anni di ricerche in quella ristretta cerchia territoriale compresa tra Castelvetrano e Campobello di Mazara, costantemente setacciata e controllata con i più sofisticati sistemi di intercettazioni e di videosorveglianza di tutti i luoghi strategici che, tuttavia, come oggi si è scoperto, non hanno impedito che il più ricercato latitante del mondo potesse condurre, in quegli stessi luoghi e per molti anni (almeno ventisei), una 'normale' esistenza senza neppure nascondersi troppo, ma anzi palesando a tutti il suo viso riconoscibile (almeno per i tantissimi che lo avevano conosciuto personalmente)". "Come ciò sia potuto accadere, si ripete, appare al momento inspiegabile e non privo di conseguenze" conclude il gip.
"La cura quasi maniacale del latitante nella annotazione di qualsiasi accadimento della sua vita, nella tenuta di diari e quaderni in cui trascriveva anche commenti, non può fare dubitare dell'esistenza di materiale di ben altra importanza sugli affari criminali di Messina Denaro custodito in altri covi non ancora individuati (e di cui, peraltro, v'è già traccia in alcune delle corrispondenze tra il latitante e Laura Bonafede che pure mostra di conoscerli)".