mercoledì 18 ottobre 2017
Nel business, che si avvaleva di pescherecci appositamente modificati, coinvolti anche cittadini maltesi. In un anno in Italia sono arrivati 80 milioni di chili di carburante illegale
Traffico milionario di gasolio tra Libia e Italia: 9 arresti
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Non solo migranti. Nelle acque del Mediterraneo le reti di criminalità intrecciano i propri affari anche sul gasolio. Sono 9 gli arresti nell'ambito dell'operazione coordinata dalla Procura di Catania e condotta dalla Guardia di finanza che ha stroncato un vasto traffico di carburante dalla Libia all'Italia. Sei sono finiti in carcere, tre ai domiciliari, quali organizzatori e componenti dell'associazione a delinquere internazionale finalizzata al riciclaggio di gasolio libico rubato dalla raffineria libica di Zawyia (40 chilometri a ovest da Tripoli) e destinato, dopo la miscelazione, ad essere immesso nel mercato italiano ed europeo anche come carburante da autotrazione.

Il gruppo criminale, che si è avvalso anche della complicità di miliziani libici armati dislocati nella fascia costiera confinante con la Tunisia, è stata altresì contestata l'aggravante mafiosa considerata la presenza nell'organizzazione di Nicola Orazio Romeo, ritenuto vicino alla cosca dei Santapaola-Ercolano. In un anno di indagini, i militari sono riusciti a documentare dettagliatamente oltre 30 viaggi nei quali sono stati importati via mare dalla Libia oltre 80 milioni di chili di gasolio per un valore all'acquisto di circa 30 milioni di euro. L'indagine è partita da una denuncia dell'Eni, che è parte lesa.

La rete del business in mare: mafiosi, miliziani libici e maltesi

Tra i soggetti coinvolti nel traffico internazionale di prodotti petroliferi libici e destinatari della misura in carcere figurano l'amministratore delegato della Maxcom Bunker Spa Marco Porta, 48 anni, Fahmi Mousa Saleem Ben Khalifa, detto "il Malem" (il capo), nativo di Zuwarah (Libia), fuggito dal carcere nel 2011 con la caduta del regime di Gheddafi dove stava scontando una condanna a 15 anni per traffico di droga; ha guidato una milizia armata stanziata nella zona costiera al confine con la Tunisia ed è stato recentemente posto agli arresti per contrabbando di carburanti da parte delle Autorità libiche; il catanese Nicola Orazio Romeo, 45 anni, indicato da alcuni collaboratori di giustizia quale appartenente alla frangia mafiosa degli Ercolano e ritenuto, in una conversazione captata tra gli indagati, quale soggetto della "mala, quella giusta, quella che non lo tocca nessuno".

Romeo è parte integrante della componente maltese dell'organizzazione la cui funzione primaria è stata quella di organizzare i trasporti del gasolio libico via mare; i cittadini maltesi Darren Debono, 43 anni, e Gordon Debono, 43 anni; i maltesi, con Romeo hanno curato il trasporto via mare gestendo, al contempo, il reticolo di società commerciali coinvolte nel business; il libico, originario di Zuwara, Tareq Dardar, quale collettore dei pagamenti e dei flussi finanziari veicolati su conti esteri collegati a Ben Khalifa.

Qualità scarsa, prezzi gonfiati

Per coloro che non sono stati rintracciati nel territorio nazionale, la Procura distrettuale ha richiesto l'emissione di un mandato d'arresto internazionale. L'amministratore delegato della Maxcom Bunker Spa, società con sede legale a Roma, attiva nel commercio all'ingrosso di prodotti petroliferi e di bunkeraggio delle navi, si è avvalso della complicità di alcuni dipendenti della società, raggiunti dalla misura cautelare degli arresti domiciliari. Si tratta di Rosanna La Duca, 48 anni, consulente esterna della Maxcom Bunker, Stefano Cevasco, 48 anni, addetto all'ufficio commerciale, Antonio Baffo, 61 anni, responsabile del deposito fiscale di Augusta.

Il gasolio libico - trafugato dalla N.o.c. (National Oil Corporation), la compagnia petrolifera nazionale della Libia, riciclato e immesso, all'insaputa dei consumatori finali, anche presso distributori stradali - è un carburante avente tenore di zolfo minore di 0,1% ed è destinato al "bunkeraggio" ossia al rifornimento, in ambito portuale, di carburanti o di combustibili ad unità navali. Il prodotto, dopo miscelazioni presso uno dei depositi fiscali della Maxcom di Augusta, Civitavecchia e Venezia, veniva immesso nel mercato italiano ed europeo (Francia e Spagna in particolare) ad un prezzo similare a quello dei prodotti ufficiali pur essendo la qualità dello stesso inferiore. Il gruppo mirava ad acquisire la disponibilità di un flusso continuo di gasolio libico ad un prezzo ribassato rispetto alle quotazioni ufficiali (in alcuni casi anche fino al 60%) così garantendo alla società italiana acquirente un margine di profitto costante e più elevato.

Gli ideatori dell'affare internazionale, al fine di ostacolare la ricostruzione dei passaggi materiali, documentali e finanziari sottesi al commercio di gasolio, hanno costruito un variabile sistema di società, a più livelli, poste fittiziamente tra venditori e acquirenti finali. La frode è stata attuata mediante il ricorso a falsa documentazione attestante inizialmente l'origine saudita del gasolio "libico" e poi, successivamente, la non veritiera cessione del carburante da una delle società sussidiarie della National Oil Corporation. In una fase successiva, a seguito dell'improvvisa attenzione mediatica sul fenomeno, l'organizzazione ha mutato il sistema di frode: il prodotto non era più accompagnato da certificati attestanti la falsa origine saudita ma da falsi certificati libici, realizzati attraverso la pratica corruttiva in quel Paese.

Distributori e società compiacenti

È stato accertato che Ben Khalifa, controllando le acque antistanti i porti libici di Abu Kammash e Zwarah, consentiva a navi cisterna di rifornirsi del gasolio proveniente dalle raffinerie attraverso pescherecci appositamente modificati e altre navi cisterna di piccole dimensioni. Alcune di queste navi, giunte al largo di Malta, procedevano ad un ulteriore trasbordo su natanti nella disponibilità di società maltesi, le quali s'incaricavano poi di trasportarlo presso porti italiani per conto della società Maxcom Bunker. I natanti utilizzati per l'illecito trasporto disattivavano il dispositivo di identificazione al fine di celare la loro reale posizione. Per quanto riguardala successiva distribuzione sul territorio nazionale del carburante importato dalla Libia dalla Maxcom Bunker, le Fiamme gialle catanesi sono riuscite a tracciare, in alcuni casi, la destinazione finale del gasolio immesso in Sicilia e in Campania riuscendo, al contempo, a smascherare una distinta associazione a delinquere finalizzata alla sistematica evasione dell'Iva e alla vendita a distributori stradali "compiacenti" - ubicati in Catania e provincia - di gasolio "extra-rete" frodando consumatori e compagnie di bandiera. Tale struttura risulta composta da società cartiere ubicate in Catania e nel siracusano nonchè da depositi fiscali nel trapanese e depositi di stoccaggio nel catanese unite tra loro da apparenti rapporti commerciali attraverso l'utilizzo di fatture per operazioni inesistenti.

L'articolato sistema di frode ha comportato un mancato incasso per il bilancio nazionale e quello comunitario di imposte (Iva)
per un ammontare di oltre 11 milioni di euro. Parte del gasolio illecitamente trafugato dalla Libia, dalla Sicilia è stato destinato per la distribuzione anche a società di stoccaggio campane. Il gasolio "libico", dopo miscelazione, è giunto, in alcuni casi, anche presso i distributori stradali ad un costo assolutamente "proibitivo" per gli operatori del settore leali costretti a soccombere al cospetto di società illecite che hanno messo a frutto l'evasione d'imposte e il minore onere d'acquisto della materia prima.

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