venerdì 14 febbraio 2014
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Quaranta di giorno, il doppio e a volte un centinaio quando scende la notte. Eppure gli "invisibili" dell’aeroporto sanno mimetizzarsi tra i viaggiatori in attesa, seduti sulle comode poltrone nei corridoi o sui divani del bar passano la giornata e spesso la notte al riparo. Come le due signore sui 60 anni dell’Europa dell’est che chiacchierano amabilmente lavorando a maglia sedute davanti alla vetrata del terminal delle partenze mentre i mariti parlano al cellulare. O il 40enne che legge la posta elettronica sul computer seduto al bar e quello, dall’aspetto un trentenne, seduto vicino ai telefoni pubblici che gioca con il videogame sul telefonino. Vite sospese davanti ai bar delle partenze e degli arrivi. Per capire come sopravvivono, basta osservare i tre ragazzi del Bangladesh arrivati all’alba che stazionano tutto il giorno davanti alle porte d’ingresso dell’aeroporto. Portano i carrelli ai viaggiatori in partenza appena scendono da auto o da autobus. I carrelli nello scalo sono gratuiti, loro offrono abusivamente il trasporto dei bagagli fino al bancone del check-in. Chi accetta, normalmente, non si limita a dare monete da uno o due euro (chi viaggia non ama le monete), ma offre una banconota da cinque euro.Quella del "carrellista" è una attività inventata dalle persone senza dimora o senza lavoro che hanno scelto lo scalo lombardo come riferimento. E che qui non dovrebbero stare. Il regolamento consente infatti il soggiorno ai soli passeggeri per i tempi strettamente necessari all’imbarco e al ritiro dei bagagli – un’ora all’incirca – ad eccezione dei voli in ritardo. Ma la polizia può al massimo allontanare chi non ha un titolo di viaggio con un foglio di via, se non ha commesso reati. Che così può tornare poco dopo. Impossibile e inutile, insomma, usare il pugno di ferro. Quanti sono? Ufficialmente una quarantina confermano le autorità aeroportuali e don Ruggero Camagni, cappellano della Malpensa. Ma la stima andrebbe almeno raddoppiata anche se non esistono cifre ufficiali. Ma c’è una evidenza. La notte di Natale, dopo la messa con il vicario episcopale di Varese Franco Agnesi celebrata nella cappella dedicata alla Madonna di Loreto, c’erano 36 persone a dormire solo nei corridoi limitrofi. Per avere un’idea più precisa di quanti dormano qui, basta quindi moltiplicarli per tre.La Sea, l’ente gestore, non può farci nulla. Il cappellano offre loro aiuto, dai vestiti ai pasti per chi ha fame ed è messo male. Oppure li manda alla Caritas. Gli "invisibili" stanno rifugiandosi in molti luoghi pubblici di transito italiani, come le stazioni ferroviarie e il pronto soccorso di molti ospedali che devono attrezzarsi anche per l’accoglienza. Sono al 50% italiani, il resto stranieri provenienti da tutto il mondo tra i quali, in larga misura, richiedenti asilo e rifugiati che non si sono integrati. Le donne sono il 15%, l’età varia dai 20 agli 80 anni, con prevalenza della fascia under 40 soprattutto tra gli stranieri. Hanno cominciato quelli dell’Emergenza Nordafrica. All’aeroporto veniva un gruppo di rifugiati ospitati all’hotel Cervo in una frazione di Somma Lombardo, comune limitrofo. Arrivati nel maggio 2011, erano 35 uomini dai 20 ai 42 anni, scappati dalla Libia ma originari di diversi Paesi come Marocco, Tunisia, Ghana, Burkina Faso, Mali. Passavano la giornata in atrio per guadagnare, con i carrelli, qualche euro da mandare a casa. Finita l’emergenza Nordafrica un anno fa, molti se ne sono  andati. Chi è andato in Norvegia sta bene, molti di quelli finiti in Germania e Francia sono tornati.Negli ultimi due anni, causa crisi, sono aumentati gli italiani. Ci stanno per qualche mese. Spesso sono persone che alla disoccupazione accoppiano la malattia mentale e la solitudine. C’è stato un vero e proprio boom di padri separati. Chi deve mantenere l’ex moglie e i figli, si sa, non ce la fa a pagarsi una stanza in affitto. Trovi persone insospettabili a vagare tra l’atrio e le partenze, come l’ingegnere che lavorava in Svizzera ed è stato licenziato. Ha passato in aeroporto qualche mese per arrangiarsi a mangiare con poco in mensa, da un paio di mesi non lo vedono più. In genere gli "invisibili" non commettono reati, ma "accerchiano" i passeggeri offrendo carrelli e accompagnamento al check-in. Il problema è diventato serio, ormai. Non è possibile vivere in un terminal sdraiati sui cartoni e i sacchi a pelo di notte sui divani dei bar o allungati sulle poltrone d’alluminio fino a tirare indietro lo schienale o usando i bagni pubblici. Ci sono ragazzi di 20 anni che stazionano nello scalo da mesi o anni. Ma quando gli si fa notare che stanno buttando via la vita, rispondono che almeno così riescono a mandare a casa qualche soldo.Per i migranti il volontariato sta cominciando a proporre il rimpatrio "assistito" con il quale, nei tempi stabiliti, si ha diritto al biglietto, a 100 euro di contributo a testa alla partenza e 1.000 all’arrivo. Un senegalese, dopo 14 anni in Italia a lavorare, è rimasto disoccupato con la moglie incinta e ha vissuto in aeroporto due mesi. Dopo la nascita, la mamma e la bimba sono stati ospitati da una famiglia del Centro aiuto alla vita, poi si sono convinti a tornare. Un caso raro, ma può fare da apripista.Per tutti gli "invisibili" servirebbe una task force per attuare un progetto di accoglienza e inserimento lavorativo. Se ne sta discutendo e si spera che possa partire al più presto. In fondo non sono tanti gli invisibili di Malpensa. Ma, come disse il cardinale Tettamanzi dopo una visita, l’aeroporto spesso anticipa scenari possibili della società del futuro.
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