giovedì 29 ottobre 2015
Dal 2002 sono stati accolti cento minori affidati da Tribunali e Comuni.
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Un grande tavolo, attorno nove tra bambini e ragazzi e una mamma e un papà molto speciali, Fortunata e Antonio. È la casa famiglia della Comunità di Capodarco che ospita la piccola Francesca (nome di fantasia, ndr) e che dal 2002 opera in Campania. Qui in questi anni sono stati accolti e seguiti con amore un centinaio di minori affidati dai tribunali e dai comuni. Storie drammatiche di violenza, abusi, criminalità, alcol, degrado, abbandono che vivono fianco a fianco coi quattro figli, uno dei quali adottivo, di Fortunata e Antonio.Storie in cammino verso una vita normale, grazie all’impegno di questa famiglia molto allargata. La casa, infatti, è sempre piena di tanti volontari, singoli o di associazioni, professionisti e anche persone con passati difficili. Colori, allegria e tanta amicizia. Ma anche professionalità. Non a caso alcuni anni fa la Regione Campania l’aveva inserita in un filmato che presentava le esperienze di qualità regionali. E la conferma viene anche dai tanti piccoli che dopo l’ospitalità di questa casa hanno trovato una famiglia vera, in adozione o in affido. L’ultimo è Abel, disabile grave abbandonato dalla madre romena di 18 anni, accolto a 2 mesi da Fortunata e Antonio e ora felicemente adottato da un’altra bella coppia, Adriana e Francesco, poliziotta e tassista napoletani.«Non vogliamo sostituirci ai genitori – spiegano Fortunata e Antonio –. Siamo solo una risposta per far loro ritrovare quanto prima la strada. Ma non abbiamo la verità in tasca». Certo non è facile, soprattutto quando si tocca con mano la sofferenza dei bimbi. O addirittura la morte. C’è un supporto psicologico, ma ad aiutarli è soprattutto una fede fortissima. «Io – dice Fortunata – mi ritaglio ogni giovedì un’ora di Adorazione. Sento quella presenza al nostro fianco. Quando non vedi niente nel futuro poi arrivano le soluzioni». Al loro fianco molto spesso il vescovo di Aversa, monsignor Angelo Spinillo, vicepresidente della Cei. «Questa casa famiglia – ha detto in un’occasione – è uno dei segni che indicano il cambiamento della nostra terra». Così il vescovo partecipa a feste, merende coi bambini e ha battezzato il piccolo Abel. E anche per la vicenda di Francesca non ha fatto mancare tutto il suo amorevole e concreto appoggio.
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