martedì 2 settembre 2014
​L'assessore alla Cultura del Comune corre ai ripari dopo le polemiche sul volantino che pubblicizza la "Mostra d'arte Lgbte" in programma in una circoscrizione. La foto di una donna obesa nuda che calpesta immagini sacre.
Ma il vilipendio non è mai arte di Maurizio Patriciello
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Una donna obesa, nuda, appoggiata a una parete dai muri scrostati, che calpesta con i tacchi un’icona raffigurante Gesù e la Madonna. È l’immagine scelta per il manifesto della «Mostra Internazionale d’Arte LGBTE (La Grande Battaglia Trova Esito)» che ha ottenuto il patrocinio – revocato poi tra le polemiche – del Comune di Torino, guidato da Pietro Fassino.L’iniziativa è nata anni fa come corollario della rassegna del cinema omosessuale, ma sebbene la polemica politica in Comune abbia puntato anche su questo, in realtà il tema gay non è più lo specifico della mostra. Tanto che l’Arcigay prende le distanze: «Non c’entra la rivendicazione dei diritti gay».Il tema, piuttosto, sono i vizi capitali. L’acronimo "L’Internazionale d’arte Lgbte" richiama le sue radici ma sta per "La Grande battaglia trova esito". «È la battaglia dell’artista per emergere e farsi conoscere» spiega il curatore Telemaco Rendine. E di certo non è passata inosservata quest’edizione. L’opposizione in Comune ha definito l’immagine "vilipendio" e ha attaccato la giunta, che ha revocato il patrocinio, sostenendo di non aver saputo prima quale fosse l’immagine scelta per sponsorizzare la mostra e giudicandola, a posteriori, «lesiva della sensibilità di molti». Fuori dal coro solo Silvio Viale, radicale ma consigliere nelle fila Pd. Rendine spiega: «Non volevamo offendere nessuno: i peccati capitali sono le cose da non fare, e quella donna rappresenta la superbia».Una spiegazione che però non convince la diocesi. «In quel montaggio c’è la protervia di chi si crede al di sopra di ogni minima regola etica – ha detto l’arcivescovo Cesare Nosiglia – di chi pretende, in nome di una supposta scelta artistica, che tutti debbano accettare qualsiasi sfregio anche al più sentito e profondo senso religioso degli altri». Oltre a stigmatizzare «il modo in cui viene usato il corpo di una donna», l’arcivescovo critica «certe scelte "artistiche" che diventano un modo facile, troppo facile, per farsi pubblicità».
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