sabato 17 settembre 2016
Bilancio e futuro secondo Titti Postiglione (Protezione Civile), che gestisce l'emergenza. VIDEOINTERVISTA di Pino Ciociola
Terremoto, le lacrime del capo dei soccorsi
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Chissà se le è successo di piangere. «È umano. Normale. È accaduto in qualche situazione. Come quando, sulle liste dei corpi che via via venivano riconosciuti, abbiamo cominciato a leggere le date di nascita di ragazzi giovanissimi, di bambini... E lì prevale il cuore che ci portiamo dentro, fortunatamente »: Titti Postiglione è capo dell’'Ufficio gestione delle emergenze' del Dipartimento di Protezione civile. La donna che, da subito, gestisce il dramma del terremoto in Centro Italia. Si può emotivamente restar fuori da una cosa come questa, dottoressa Postiglione? Siamo professionisti, ma siamo innanzi tutto persone: viviamo anche noi questo dramma, è chiaro. Però rafforza l’intento e la volontà di fare al meglio il nostro lavoro. Questo dobbiamo garantirlo, senza mai dimenticarlo. Qual è il bilancio, umano, tre settimane dopo? In una tragedia come questa, non può che essere drammatico: un numero di morti straordinario, un danno molto ingente sui territori e comunità che stanno soffrendo. La gente racconta che, almeno finora, le siete stati accanto. Tutto il sistema di protezione civile nazionale nel suo complesso, dai soccorritori ai volontari, dai vigili del fuoco alle Forze armate, dalla componente sanitaria agli enti locali, si è mosso tempestivamente per dare soccorso e assistenza. Come spiega l’efficacia della macchina dei soccorsi? Riuscire a fare il nostro lavoro entrando in sintonia con la gente, con chi opera sul territorio, con gli amministratori locali, aiuta molto. Ma il merito di questa efficacia va dato non tanto a noi, che siamo un piccolissimo pezzo di questo sistema, ma a tutti i volontari e a tutti i corpi dello Stato, che veramente lo rappresentano nella sua più straordinaria bellezza, essere vicino ai cittadini. Cosa l’ha più emozionata fra quanto le è accaduto da quella notte? Incontrare chi, con un intervento un po’ più 'forte' e complicato, era magari riuscito a salvare una vita. Oppure chi, sempre in quei primi giorni, a sera era soddisfatto per esser riuscito a far quadrare la movimentazione dei tanti elicotteri che trasportavano squadre d’intervento e feriti.
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È finita la fase del soccorso. Adesso inizia quella forse ancor più difficile... Quella impegnativa dell’assistenza alla popolazione. Con le tendopoli, le strutture che vanno gestite, con i nostri operatori al lavoro per limitare i disagi. E soprattutto si sta cominciando a guardare al 'dopo tendopoli'. Proprio per la gente che porta sulla propria pelle questa storia, secondo lei cos’è il domani? Questa è la domanda più impegnativa che si possa fare a me, ma soprattutto alla gente. Credo che ancor prima che capire cos’è domani, che in questa fase è davvero difficile, già l’idea che un domani ci sarà è importante. E io collego la parola 'domani' alla parola 'fiducia'. Cioè?  Se riusciremo a far comprendere a queste persone che tanto hanno sofferto che ci si può fidare delle istituzioni, che ci si può fidare di chi è qui in questo momento e ancora ci sarà, che in questo rapporto di fiducia un pezzo importante tocca anche alle comunità, allora forse riusciremo veramente a costruirlo insieme questo domani.
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