lunedì 3 giugno 2013
Gli esperti: via gli ortaggi, largo alle piante "riciclabili". Dopo l’emergenza, la proposta per recuperare i terreni inquinati da rifiuti tossici e roghi. Le specie no food reimpiegabili in bioenergia o bioarchitettura, nel settore cartiero o della componentisica.
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C’è speranza per la Terra dei fuochi, angolo di Campania oltraggiato da scarichi inquinanti, rifiuti velenosi, roghi tossici. C’è la possibilità di restituirlo a nuova vita con l’aiuto di alcune piante capaci di assimilare gli infestanti del terreno, sanandolo. Da qui la proposta di «riconvertire l’agricoltura», suggersice Alessandro Gatto, referente settore inquinamento e rifiuti del Wwf agro aversano-Napoli nord-litorale domitio. Un progetto che di fatto strapperebbe l’affare bonifiche dalle mani di speculatori e malavitosi e che ridurrebbe il pericolo di patologie tumorali. «Non si può più pensare di coltivare specie commestibili accanto a siti maledettamente contaminati - spiega Gatto - e al tempo stesso senza spezzare la continuità agro-economica». Significa che al posto dei cavolfiori, delle fragole, dei friarielli, tipicità campane con alto assorbimento dei nutrienti inquinati o meno presenti nel terreno, si potrebbero coltivare piante che possono essere impiegate in bioingegneria o bioarchitettura, nel settore cartiero o della componentistica per auto. Lo conferma l’architetto Silvana Tomeo del Centro bioedile Campania: «Ci sono specie vegetali capaci di rendere produttivo quello che ora non lo è e che possono essere usate nell’edilizia». E porta l’esempio della canapa le cui fibre finiscono negli isolanti termoacustici. La canapa infatti, coltivazione storica nell’Aversano abbandonata con l’avvento delle fibre artificiali, non ha solo un utilizzo tessile. «Purché il prodotto che risulta dalla trasformazione delle specie no-food - sottolinea Gatto - non sia a contatto con la pelle, né ingerito né bruciato. Probabilmente non ci sarà mai un no-food che salverà del tutto l’ambiente. Ma qualcosa bisogna cominciare a fare». Gatto, biologo e specialista in ecologia vegetale, dal 1991 è testimone inascoltato dello scempio che ha ridotto la zona più fertile in un deserto produttivo che mette a rischio la vita delle persone. Era a Villa Literno il 15 gennaio 1998 quando lo Stato marciò contro sé stesso, quando le fasce tricolori degli ispettori di polizia caricarono le fasce tricolori dei sindaci dell’Agro aversano che guidavano il corteo di cittadini e chiedevano le bonifiche e la difesa del territorio. L’allora ministro dell’Interno, Giorgio Napolitano, si scusò per il grave episodio e promise un impegno del Governo. Con la legge 426 del dicembre ’98, "Nuovi interventi in campo ambientale" che prevede l’istituzione del Programma nazionale di bonifica e l’individuazione dei primi interventi di interesse nazionale, l’agro aversano-litorale domitio flegreo fu inserito tra i siti di interesse nazionale, declassato poi dal governo Monti a sito di interesse regionale. La legge Napolitano resta ancora in parte disattesa.  La complessità della riconversione agro-economica di un’ampia parte del territorio, in cui possono essere incluse tutte le zone con insediamenti industriali, è ammessa da Vittorio Sangiorgio, presidente Giovani Coldiretti, che parla di «processo fattibile, ma da accompagnare con risorse adeguate e fiscalità agevolata». «La filiera del non alimentare - annota - trova uno sbocco logico nel florovivaismo quindi nella produzione di essenze ornamentali o legnose. O, verificato grado e tipo di contaminazione, in settori come la produzione di energia rinnovabile». In questi giorni si sta riscrivendo il documento della politica agricola comunitaria 2014-2020. Un capitolo riguarda il piano di sviluppo rurale e l’Asse 2 è destinato agli investimenti per la tutela ambientale. Potrebbe essere un’opportunità.
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