mercoledì 28 novembre 2018
Il capitano spagnolo, Pascual Duran: siamo senza gasolio e le persone soccorse preferiscono morire piuttosto che tornare nelle carceri libiche
Il capitano del peschereccio Nuestra Madre de Loreto, Pascual Duran mentre accoglie gli uomini United4Med  (Mich Seixas / Operazione Mediterranea)

Il capitano del peschereccio Nuestra Madre de Loreto, Pascual Duran mentre accoglie gli uomini United4Med (Mich Seixas / Operazione Mediterranea)

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«Siamo quasi senza gasolio e la tensione sulla mia nave in questo momento è altissima, ma rifarei tutto quello che ho fatto, perché abbiamo l’obbligo morale di salvare vite umane in mare». È il capitano del peschereccio spagnolo Nuestra Madre Loreto, Pascual Duran a raccontare in prima persona la drammaticità dell’isolamento che sta vivendo in mare aperto, assieme al suo equipaggio. Con Malta e l’Italia che non sono disposte a fornire un porto sicuro per l’approdo, mentre la Spagna è impegnata a mediare con la Libia perché si trovi una soluzione per il peschereccio che giovedì scorso aveva tratto in salvo 12 migranti che, pur di sfuggire alla motovedetta della Guardia costiera libica che aveva intercettato il gommone su cui viaggiavano, si erano buttati in mare, rischiando di annegare. Arriva anche l’appello della flotta umanitaria #United4Med a chiedere con forza che l’Europa apra i suoi porti alle persone tratte in salvo dal peschereccio e condanna i negoziati spagnoli con la Libia. Proprio dalla plancia di comando della Mare Jonio di Operazione Mediterranea, impegnata nella missione congiunta con le navi delle Ong Sea Watch e Open Arms che venerdì scorso aveva prestato assistenza medica a distanza al peschereccio, riusciamo a contattare il capitano Duran.

Come state? Quanti siete e quali sono le condizioni fisiche e psichiche dell’equipaggio e delle dodici persone che avete tratto in salvo?

Siamo in 25 in totale. Le persone salvate sono disperate perché hanno il timore di poter essere riconsegnati ai libici. La tensione è alta così come lo è il rischio di una rivolta a bordo. Il loro nervosismo ha contagiato anche il resto dell’equipaggio. Stiamo vivendo un momento di grande incertezza: non sappiamo nulla del nostro futuro. Quello che ci ripetono in continuazione le persone soccorse è che loro piuttosto che tornare in Libia, preferiscono morire.

Ci sono persone ferite?

Si, ci sono diversi feriti. Alcuni con contusioni e lividi sulle gambe. Uno ha perso la vista da un occhio dopo essere stata picchiato da un libico. Alcuni hanno forti dolori all’inguine perché non hanno potuto urinare per quasi due giorni. Altri hanno dei dolori al petto e vomitano.

Avete scorte alimentari a sufficienza per quanti giorni?

Sei, sette giorni al massimo. Invece il gasolio sta quasi per finire, saremmo dovuti rientrare in porto il 3 di dicembre, ma ora in queste condizioni non sappiamo cosa accadrà.

Avete mai avuto contatti con l’Mrcc (il centro di coordinamento della Guardia costiera, ndr) Libia?

No, mai. Ci era giunta notizia che una motovedetta libica sarebbe arrivata nella notte di lunedì, ma non è successo. Sappiamo inoltre che il governo spagnolo si sta muovendo per negoziare con la Libia una soluzione, ma non sappiamo altro.

Finora quali indicazioni avete ricevuto a livello ufficiale?

Il governo spagnolo non ci ha dato conferme ufficiali. Ci sono solo delle voci sulla possibilità che Valencia ci accolga in porto. Ma sono solo voci. Mentre stanno andando avanti la trattative tra Madrid e Tripoli.

Cosa fareste se foste obbligati a riportarli in Libia?

Se anche fossimo obbligati a riportarli in Libia, non lo faremmo perché le persone a bordo non hanno nessuna intenzione di tornarci: continueranno a lottare per la loro vita, la loro incolumità e per stare lontani dalla Libia, a costo anche di buttarsi in mare. Hanno i telefoni, riconoscerebbero le coste libiche da cui sono partiti e se cambiassimo rotta e ci dirigessimo verso la Libia, loro se ne renderebbero subito conto e rischieremmo una rivolta a bordo.

Rispetto al maltempo che sta per investire tutta la zona del Mediterraneo, cosa pensate di fare?

La perturbazione è diffusa su tutta l’area, dovremmo spostarci di 150 miglia per sfuggire al maltempo. Ma sono sicuro che questo cambiamento potrebbe far salire la tensione a bordo e al tempo stesso le autorità potrebbero cogliere l’occasione per lavarsene le mani di noi, interrompendo le negoziazioni internazionali. Rimaniamo qui ad aspettare: proviamo a resistere e a sopravvivere come possiamo.

Oggi avete dei dubbi sul vostro operato in mare nella notte di giovedì scorso?

Assolutamente no. Ci comporteremmo allo stesso modo. Abbiamo sentito l’obbligo morale di soccorrere le vite umane, chi non lo fa non è una persona. E c’è anche un obbligo di legge sul prestare soccorso in mare, anche se adesso dopo che abbiamo tratto in salvo queste persone i Paesi europei non ci stanno tendendo una mano. Nella nostra situazione le leggi europee non ci aiutano. Ci riempiamo la bocca, affermando che siamo tutti europei, italiani, spagnoli, maltesi, siamo tutti fratelli europei. Ma ora che c’è una barca spagnola in mare, in pericolo, la nostra, tutti si voltano dall’altro lato.

(Con la collaborazione di Fulvia Conte)

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