sabato 26 ottobre 2013
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TBC - Forme multiresistenti: infettati in 630milaIl nostro obiettivo è comunicare al pubblico le novità nel campo della diagnostica e della terapia delle patologie infettive, con uno sguardo più ampio verso la multidisciplinarietà della conoscenza», sottolinea l’infettivologo Orlando Armignacco. «Ad esempio per l’epatite C, che oggi ci preoccupa molto, grazie a nuovi farmaci stiamo vivendo attualmente lo stesso progresso che abbiamo vissuto 20 anni fa con l’Hiv. Siamo fiduciosi di poter rendere questa malattia del tutto curabile». Mentre continua a preoccupare la tubercolosi, che ha assunto drammatica rilevanza a causa dei sempre più frequenti casi di Tbc farmacoresistente. Le forme multiresistenti, cioè che non rispondono più ai farmaci un tempo efficaci contro la malattia, hanno già infettato 630 mila persone nel mondo. «Il picco si è avuto in Lettonia – spiega Giuliano Rizzardini, infettivologo dell’Ospedale Sacco di Milano – dove la Tbc multiresistente rappresenta addirittura il 62% dei casi. Come se non bastasse, abbiamo visto un aumento dei casi di malattia ampiamente farmacoresistente», che cioè non reagiscono all’intera classe degli antibiotici orali e ad almeno uno di quelli iniettabili: «Il 15% dei pazienti in Corea del Sud o l’11% di quelli in Russia presentano forme di questo tipo», già difficili e costose da trattare nei Paesi ricchi, impossibili da curare in quelli poveri. E se qualcuno pensasse che il problema non riguarda l’Occidente, sappia che «è vero che il 95% delle morti si verifica nei Paesi a basso reddito – sottolinea Rizzardini –, ma questa malattia a trasmissione aerea è un rischio per tutti». La Tbc è tra le prime tre cause di morte nelle donne tra i 15 e i 44 anni nel mondo, mentre tra i bambini sono stati stimati mezzo milione di casi e 64mila decessi. In Europa occidentale circa il 40% dei casi pediatrici nel 2011 ha riguardato bambini sotto i 5 anni. A 70 anni dalla scoperta della streptomicina (isolata nel 1943 da Albert Shatz), che costituì una svolta epocale per fronteggiare la tubercolosi, siamo dunque punto a capo. Ben lontani dall’obiettivo che l’Organizzazione mondiale della sanità si era posta, di eradicare la malattia entro il 2000.AIDS - Il 50% delle persone affette da Hiv non sa di esserlo.E non conoscere può significare contagiare altriDobbiamo ribadire l’importanza del test per il virus Hiv: sono in aumento le persone che scoprono troppo tardi la presenza dell’infezione». L’allarme viene da Orlando Armignacco, presidente nazionale della Società italiana Malattie infettive e tropicali. Troppi pazienti non conoscono il loro stato di sieropositività – denuncia l’esperto –, più del 50% a livello globale, «ma almeno il 25% negli Stati Uniti e in molti Paesi d’Europa, Italia compresa». Il che è ancora più grave se si pensa che con una diagnosi precoce i farmaci, assunti subito, rallentano sensibilmente il decorso della malattia e riducono il processo degenerativo. Non solo, non conoscere la propria situazione significa contagiare altre persone. Era il 1983 quando Luc Montagnier e Robert Gallo, con i rispettivi gruppi di ricerca, rivelavano l’esistenza di un nuovo virus, l’Hiv (Human Immunodeficiency Virus), responsabile dell’Aids. Trent’anni dopo, 34 milioni di persone nel mondo vivono con questo virus e ogni anno 1,8 milioni muoiono di Aids (30 milioni le vittime dall’inizio della pandemia). «Ma dal 1983 a oggi sono cambiate molte cose – assicura Adriano Lazzarin, presidente del congresso Simit e infettivologo all’Ospedale scientifico San Raffaele di Milano –: è vero che, nonostante enormi sforzi, i ricercatori non sono riusciti a trovare un vaccino e nemmeno una cura che possa eradicare il virus, ma abbiamo a disposizione numerosi farmaci in grado di controllare la malattia». Che ancora oggi, sebbene se ne parli molto meno rispetto agli anni ’90, è una delle malattie sessualmente trasmissibili più diffuse: «L’infettivologia è una specialità che registra un preoccupante sommerso – avverte Lazzarin –, in particolar modo se riferito a epatite C e Aids, si è abbassata l’attenzione, la popolazione non si allarma più...». E nel mondo povero, specie nell’Africa subsahariana, dove vive il 68% di tutti i malati di Aids, l’accesso ai farmaci è spesso un’utopia. «Il diritto al trattamento per tutti, la conoscenza dello stato di sieropositività per tutti, e strategie terapeutiche per un controllo dell’Hiv tale da non richiedere più una terapia antiretrovirale cronica, sono le tre sfide dei prossimi anni». IL NUOVO CORONAVIRUS - «Così fronteggeremo il contagio dall'Oriente «Una minaccia per la salute globale». Così dieci anni fa, nel 2003, l’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) definì quella strana malattia cui non si sapeva nemmeno che nome dare («polmonite atipica», «polmonite killer»). Dalla Cina meridionale era arrivata all’hotel Metropol di Hong Kong nel corpo contagiato di un manager americano-cinese, nell’albergo aveva subito colpito gli ospiti di tutto un piano dell’edificio, che poi erano saliti ignari sui vari aerei per tornare a casa, portando con sé la Sars nei loro Paesi: Vietnam, Canada, Taiwan, Singapore, Germania, Italia... Per questo fu considerata la prima pandemia della globalizzazione, capace in poche ore di arrivare in volo ovunque. La presenza proprio in Vietnam di Carlo Urbani, infettivologo marchigiano inviato tre anni prima dall’Oms a coordinare le politiche sanitarie contro le malattie parassitarie di tutto il Sudest asiatico, fu letteralmente provvidenziale: alla fine, dei quasi 10 mila contagiati morirono circa 800 persone (cifre in grande difetto perché la Cina tenne nascosta a lungo la nuova emergenza e ciò tra l’altro amplificò il contagio). «Dieci anni dopo – spiega l’infettivologo Lazzarin – l’attualità ci mette di fronte a una possibile minaccia, anche se per ora di portata limitata. Si tratta di un nuovo coronavirus proveniente stavolta al Medio Oriente, che ha già contagiato 139 persone», quasi la metà decedute. Il continuo nascere e mutare di nuove malattie infettive è un tema che interessa particolarmente le centinaia di infettivologi da domani riuniti a Milano: «Guai abbassare la guardia – avvertono –, c’è l’urgenza di trovare nuovi schemi per combattere queste infezioni con i mezzi a disposizione». In particolare proprio la lotta alla Sars, dichiarata ufficialmente debellata grazie alle decisioni giuste e alle immediate intuizioni di Urbani, servirà come «prova generale» per le future pandemie: «Quello che oggi chiamiamo 'protocollo Urbani' ha dimostrato di essere la strategia vincente: d’ora in poi saremo preparati, sapremo cosa fare».
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