sabato 27 luglio 2013
​Manifestazione da Giaglione a Chiomonte. L'ala dura ormai guida il movimento. Il corteo di oggi pomeriggio dirà se la protesta si è definitivamente radicalizzata.

Esposito: «I violenti devono essere puniti»
Ferrentino: «La valle è ostaggio di minacce mafiose»
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Tornano i presidi davanti al palazzo di Giustizia e probabilmente torneranno anche gli assalti al cantiere della Maddalena. Tensioni di piazza a Torino ieri, mentre venivano interrogati gli attivisti No Tav fermati durante gli ultimi scontri al cantiere della Maddalena, nella notte del 19 luglio. Corteo pacifico e serata densa di incognite oggi pomeriggio, da Giaglione a Chiomonte, dove i comitati dovranno dimostrare che la popolazione valsusina è ancora con loro dopo l’escalation violenta delle ultime settimane. La tensione è salita già parecchio nella giornata di ieri davanti al Palagiustizia torinese, dove alcune decine di manifestanti hanno organizzato un presidio di solidarietà per Marta Camposano, l’attivista pisana fermata nell’attacco al cantiere di Chiomonte e che ha dichiarato di aver subito palpeggiamenti da parte delle forze dell’ordine: sulla presunta violenza sessuale denunciata dalla donna è stato aperto un fascicolo, mentre sull’assalto al cantiere si è avvalsa della facoltà di non rispondere. Oggi in valle di Susa il movimento cercherà probabilmente di chiamare a raccolta migliaia di valsusini per smentire le voci di una radicalizzazione della protesta, che ne avrebbe ridisegnato la geografia, consegnando la protesta nelle mani degli antagonisti e degli anarcoinsurrezionalisti torinesi, capeggiati dal centro sociale Askatasuna, e avrebbe tagliato fuori non solo i sindaci ma gli stessi comitati locali. Questa lettura sarebbe giustificata dal prevalere, in occasione degli ultimi scontri con le forze dell’ordine davanti al cantiere di Chiomonte, che hanno portato all’arresto di sette manifestanti, della linea militare degli antagonisti, i quali propugnano un sabotaggio "autonomo" del cantiere e delle ditte che vi lavorano, ossia al di fuori di qualsiasi pianificazione e controllo del coordinamento dei comitati No Tav, che in questi ultimi anni si sono sostituiti ai sindaci della valle nel gestire la protesta. La nuova marcia permetterà di capire meglio anche la posizione degli amministratori, che avevano disertato l’iniziativa di violazione della zona rossa organizzata all’indomani degli scontri con i poliziotti (erano presenti solo il primo cittadino di San Didero, Loredana Bellone, e il senatore Marco Scibona di M5S), e che oggi, invece, potrebbero sfilare compatti per esprimere «la condanna più assoluta alla violenza» ma anche «la piena adesione alle manifestazioni ampie, condivise e pacifiche che esprimono il legittimo dissenso» contro l’opera, che non avrebbe né la necessaria copertura finanziaria né il consenso dei francesi: è quel che dice un documento emesso ieri da una ventina di sindaci e amministratori No Tav, che controllano la Comunità montana, sostengono di rappresentare centomila persone e di essere «inascoltati» dai media. Tesi in linea con quella degli antagonisti e della Federazione anarchica torinese che in una nota di ieri ribalta sullo Stato le accuse di violenza (la polizia avrebbe preso l’iniziativa di attaccare i manifestanti provocando una sessantina di feriti) e, smentendo l’esistenza di un patto tra autonomi e anarchici, accusa i giornali di «aver ripreso a pubblicare articoli incendiari». La marcia popolare - che partirà alle 14 dal campo sportivo di Giaglione per concludersi nel tardo pomeriggio a Chiomonte - potrebbe dimostrare che esiste ancora uno spazio per la protesta non violenta, ma, dopo l’escalation di queste settimane, per far calare la tensione in valle serve altro.
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