martedì 10 marzo 2015
“La diversità di sesso tra i nubendi costituisce un requisito sostanziale necessario affinché il matrimonio produca effetti giuridici”. La sentenza del Tar.
In Italia ha più ragione chi sbaglia per primo? di Marco Tarquinio
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​“La normativa di riferimento non prevede un potere di annullamento o di intervento diretto dell’Amministrazione centrale sugli atti di stato civile”. Per il Tar Lazio è solo questo il motivo che lo ha portato ad annullare l’annullamento delle trascrizioni di 3 matrimoni gay operate dal sindaco di Roma, Ignazio Marino. Un atto ideologico poi seguito da altri comuni, tra cui quello di Milano. E soprattutto un atto contrario alla legge. Lo dice chiaramente il testo della sentenza, che all’impossibilità di celebrare o trascrivere in Italia matrimoni omosessuali dedica ben 5 pagine. Morale: i primi cittadini che hanno riconosciuto in patria questo tipo di unioni si sono comportati in modo contrario alla legge. Ma l’annullamento di questi atti deve essere disposto dal Tribunale su impulso del Pubblico ministero, e non dalle Prefetture. Insomma: si tratta solo una questione procedurale che nulla incide sulla sostanza della cosa. E a riprova del fatto che il Viminale è stato censurato solo parzialmente, la decisione sulle spese di causa: non tutte a suo carico, ma compensate tra tutte le parti in giudizio. Il tar, nelle sue argomentazioni in diritto, parte dalla premessa secondo cui “la capacità matrimoniale e le altre condizioni per contrarre matrimonio sono regolate dalla legge nazionale di ciascun nubendo al momento del matrimonio”. E, per questo,  “all’ufficiale di stato civile italiano spetta il potere/dovere di verificare la sussistenza dei requisiti sostanziali necessari (avuto riguardo alla normativa nazionale) per celebrare un matrimonio che possa avere effetti giuridicamente rilevanti”. Ed ecco subito un punto fermo: “La diversità di sesso tra i nubendi costituisce un requisito sostanziale necessario affinchè il matrimonio produca effetti giuridici nell’ordinamento interno”. Lo scrivono i giudici amministrativi, richiamando l’art. 107 del codice civile secondo cui l’ufficiale di stato civile “riceve da ciascuna parte personalmente, l’una dopo l’altra, la dichiarazione che esse si vogliono prendere rispettivamente in marito e in moglie”. Marito e moglie. Dunque né marito e marito, né moglie e moglie. Uomo e donna. E’ a questo punto che il Tar dimostra come tale impostazione scaturisca dalle decisioni di tutte le più alte magistrature, sia italiane che europee. Innanzitutto, ricorda, “è stata ritenuta costituzionalmente legittima” dalla Consulta (sentenza n. 138 del 2010), secondo cui “la nozione di matrimonio è quella stessa definita dal codice civile del 1942 che stabiliva e tuttora stabilisce che i coniugi dovessero essere di sesso diverso”. Poi, con pronuncia n. 4184 del 2014, la Cassazione ha ribadito che “il matrimonio celebrato all’estero tra persone dello stesso sesso risulta privo dei requisiti sostanziali necessari per procedere alla sua trascrizione” poiché inidonei a produrre “qualsiasi effetto giuridico nell’ordinamento italiano”. Ma prima ancora, “la Corte europea dei diritti dell’uomo – proseguono i magistrati amministrativi – ha affermato che il rifiuto dell’ufficiale di stato civile di adempiere le formalità richieste per la celebrazione di un matrimonio tra persone dello stesso sesso" (sentenza Cedu 26.06.2010) non è contrario alla giurisprudenza europea, in quanto “il matrimonio ha connotazioni sociali e culturali radicate che possono differire molto da una società all’altra, sicchè va rimessa ai legislatori nazionali di ciascuno Stato aderente la decisione di permettere o meno il matrimonio omosessuale e la conseguente decisione in merito alla trascrivibilità o meno dello stesso (sentenza Corte di Giustizia Ue 24.06.2010, cause riunite C-122/99 P e C-125/99 P)”. E l’Italia, come detto, ha fatto in materia una scelta più che chiara. In definitiva: “Le coppie omosessuali non vantano in Italia né un diritto a contrarre matrimonio, né la pretesa alla trascrizione di unioni civili celebrate all’estero”. Dunque “la circolare del 7 ottobre 2014 del Ministero dell’Interno non risulta illegittima” nella parte in cui afferma questi principi. Unico problema, il fatto che non poteva disporre l’annullamento delle trascrizioni illegittimamente effettuate. Poco di male: ci penseranno i giudici, una volta di più investiti a farlo dai più autorevoli organi giurisdizionali.
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