martedì 13 maggio 2014
COMMENTA E CONDIVIDI
«Il sistema è questo, pagare i mediatori. Non ci sono alternative». Enrico Maltauro, principe della "compagnia degli appalti" conosce le regole del gioco. Anche con Mani pulite adottò la stessa linea: confessare quello che non si può negare. Ammise tangenti per 500 milioni di lire. E se la cavò con pochi giorni di cella e riprese a lavorare. Ieri, nel carcere di Opera è stato sentito per primo dal gip Fabio Antezza. «E ha messo sul tavolo anatomico i fatti», dice il suo difensore, Giovanni  Dedola. «Ma le configurazioni giuridiche – aggiunge – sono un’altra cosa». Stessa versione, seppure dall’altra parte del tavolo, quella dei pm: Maltauro ha ammesso che è corretta la configurazione dei fatti. Ha ammesso anche le dazioni. La differenza è nella contabilità delle cifre. Per l’accusa ha versato da 400 a 500 mila euro. Per la difesa all’incirca duecentomila che, 40 mila euro al mese , finivano al circolo culturale (Tommaso Moro) diretto da Gianstefano Frigerio. «Provvedeva stabilmente, sostiene l’accusa, alla provvista di danaro corruttivo». Ma l’imprenditore nega di conoscere la destinazione finale delle somme, tutte in contanti e in nero. Consegnava le mazzette a Sergio Cattozzo, veneto come lui, ma anche  suo "dipendente". Gli passava, regolarmente contabilizzando, uno stipendio mensile come "consulente", fisso nell’attività di lobby. Oltre ai contributi periodici sempre onorati, Maltauro si attivava per  esigenze particolari, quando si facevano più forti le pressioni di contributi straordinari. L’ultimo fu versato il 17 aprile, alle tre del pomeriggio, fuori dal ristorante Montecristo in corso Sempione. «Ho questi... sono quindicimila», disse Maltauro, e consegnò una busta bianca che l’altro infilò nel soprabito che teneva sul braccio. Cattozzo, che ha fama di apprezzato pignolo, fu costretto a fidarsi. Per altri 50 mila euro, consegnati nel Circolo culturale il 18 dicembre,  una cimice della Finanza ha registrato persino il fruscio dei soldi e la conta scandita da Catozzo. E anche la voce di Frigerio che faceva l’elegante. «Non devi starli  mica a contarli sono persone amiche». Per le difese, il "professor" Frigerio, il "bancomat" Catozzo e il "compagno G", Greganti, sono soprattutto lobbisti militanti, ma anche  millantatori, che mettevano a frutto il loro stesso passato, si vendevano le amicizie e certe contiguità con mondo politico. Come quelle di Frigerio, segretario regionale quindi deputato dc prima, parlamentare di Forza Italia dopo lo scandalo e l’arresto. Ma più che i politici, la "cupola" curava e contribuiva a piazzare nei punti chiave grandi tecnici,  manager, direttori generali. Un lavoro che impone secondo le valutazioni della difese, di assumere un lobbista di professione come Cattozzo che i suoi uomini si vantava di «coccolarli come belle donne». Interrogato per secondo, si è definito: «Mediatore per le imprese edili in cerca di lavoro, soprattutto nel privato. Un procacciatore di affari, un lobbista all’americana». Non ha dato conto di alcun episodio, né delle cifre registrate su foglietti volanti, pizzini. Cosa delle quale si è scusato, consegnandoli, ai finanzieri che lo perquisivano. «Mai turbato gare, mai preso soldi, mai occupato di appalti. Né ho mai messo piede nel circolo Tommaso Moro». Questa la difesa dell’ex senatore Pdl Luigi Grillo. Ha ammesso «rapporti di amicizia e politici», con Frigerio e Cattozzo. Ha raccontato qualche incontro con Greganti e Angelo Paris (responsabile dei contratti Expo).Lobbisti e basta si sono detti Frigerio e Greganti. E il compagno G, col vecchio stile, ha aggiunto che il suo compito era quello di «cercare imprenditori interessati alla realizzazione di immobili in legno». Che arrederanno i padiglioni di Expo e assicureranno lavoro ai giovani.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: