sabato 21 agosto 2021
Dopo lo scempio del Viterbese, con molti “ravers” ancora accampati tra Umbria e Toscana e l’emergenza focolai, l’Italia si riscopre meta preferita dei giovani di tutta Europa in cerca di sballo
Le operazioni di sgombero dopo il rave a Valentano, nel Viterbese

Le operazioni di sgombero dopo il rave a Valentano, nel Viterbese - Ansa

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Finito il maxi rave nel Viterbese rimangono i timori per il rischio contagi legati alla festa no stop che ha chiamato a raccolta partecipanti da tutta Europa. Un raduno durato sei giorni, non autorizzato e in tempi di Covid, con migliaia di ragazzi accalcati in un terreno di campagna sulla sponde del lago di Mezzano. Per l’assessore alla Sanità del Lazio, Alessio D’Amato, «ci sarà un aumento dei contagi». Al via un’azione di contact tracing e di screening per gli abitanti delle località vicine al terreno del mega rave e dove sono transitati i partecipanti per acquisti o per altre necessità. Ci saranno «tamponi a tappeto nei comuni interessati», ha detto D’Amato che ha lanciato un 'vax tour' in quei territori. Attivato anche il servizio veterinario per verificare la presenza di animali morti o feriti. «Sicuramente questa situazione andava evitata – ha proseguito D’Amato –. Se si radunano oltre 10mila persone in tempo di pandemia è un fatto grave e anomalo. Non si capisce come da un lato si impedisce l’attività regolare delle discoteche e poi si possano consentire 5 giorni di un’aggregazione così importante». Sotto la lente anche i social da cui è partito il tam tam per l’evento. E un cittadino albanese che trasportava 7 etti di droghe è stato arrestato tre giorni fa dalla polizia al casello di Chiusi (Siena). L’uomo, residente a Novara, ha confessato agli agenti che stava portando lo stupefacente al rave nel Viterbese. E all’indomani del raduno non si arrestano le polemiche. «Italia allo sbando, considerata ormai zona franca per chiunque voglia delinquere», ha affermato la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni. Dal canto suo il segretario del sindacato di polizia Consap, Cesario Bortone, ha sottolineato che «le regole si rispettano e quando questo non avviene si interviene; l’attendismo rende tutto più difficile ed espone le forze di polizia al doppio rischio: il danno d’immagine e l’accresciuta difficoltà dell’intervento».

Nemmeno il tempo di smaltire i 6 giorni di musica no stop che in rete c’è già la prossima data: 'Appuntamento il primo settembre, in Albania'. Il popolo dei rave è stato sgomberato da Valentano ( Viterbo) ma ha già fatto reset e guarda avanti. Qualcuno si è fermato, a dire il vero, soprattutto gli stranieri. Molti per smaltire la sbornia, tanto che camper ed accampamenti sono stati trovati in Maremma, in Val d’Orcia, nei comuni attorno al lago di Bolsena ed in Umbria, fra il lago di Corbara e Baschi (35 i multati nell’Orvietano per campeggio in area non autorizzata). Sono soprattutto gli stranieri (francesi, tedeschi, spagnoli, olandesi) a prolungare il soggiorno: «Resteremo in Italia ancora qualche giorno, vogliamo fare un giro nel vostro Paese, io personalmente voglio vedere la torre di Pisa», dice un giovane francese. Intanto però devono fare i conti con lo sgombero, quasi immediato da parte delle autorità. Ma come e perché spunta un rave? L’area prescelta assomiglia a una città nella città, solitamente realizzata in poche ore: a Valentano c’erano dieci sound system, una fila di casse montate su un camion e sotto ad ognuna un suono diverso, in gran parte autoproduzioni realizzate da dj più o meno professionisti. Si sono dati appuntamento su Telegramil giorno prima: «Trovatevi a Chiusi a mezzanotte, lì saprete il luogo esatto», diceva il messaggio. Il tam tam di solito parte così: quasi sempre dalla Francia, ma fa rapidamente il giro d’Europa. L’Italia – si è scoperto in queste ore, ma la notizia ai ravers è nota da anni – è una delle mete preferite perché Oltralpe i controlli sono serrati e spesso i rave falliscono in fretta. Lo stesso accade in Belgio e in Germania, dove i partecipanti vengono respinti con solerzia.

In Italia invece i controlli sono minori e spesso gli organizzatori rimangono fantasmi: «Si tratta di un gruppo di ragazzi che compra i bassi, le casse e la musica. Rischiano per farci divertire», hanno spiegato alcuni dei partecipanti al rave della Tuscia. Pochi hanno voglia di esporsi, ma chi lo fa sottolinea che quest’anno tra i ravers italiani c’è tanta gente nuova: «Hanno voglia di ballare e i locali sono chiusi». Del resto i numeri lasciano poco spazio all’interpretazione: al rave di fine giugno a Maleo, nel Lodigiano, ne sono seguiti altri a cadenza quasi settimanale. Ci sono quelli enormi come lo Space Travel Teknival di Valentano che si ripete ogni anno in un posto diverso, ma anche quelli più piccoli, con poche centinaia di persone, come accaduto di recente a Giove, nel Ternano, a Serra de’ Conti (Ancona).

E poi Botticino (Brescia), Monte Moro (Genova), Tavolaia di Santa Maria a Monte (Pisa), Pesaro, Varese, Porto Cesareo (Lecce), San Cataldo di Lecce, Trapani. Solo per citare quelli finiti sulle cronache dei giornali. Contarli è impossibile, trovarli sui social facilissimo, avere notizie dalle forze dell’ordine complicato: nessuno tra caserme e questure vuol parlare, indicando sempre qualche altra autorità come responsabile e competente. Il motivo – probabilmente – del cortocircuito a cui s’è assistito questa settimana. Unica certezza: la droga. C’è chi se la porta, ma l’organizzazione della gestione e dello spaccio degli stupefacenti è meticolosa: con persino automobili con sopra i cartelli dei prezzi (Ketamina a 5 euro, Lsd a 10). Non mancano eroina e cocaina. Ogni tribe (così chiamano i vari spazi) è dedita ad un’attività diversa.

C’è anche quella per i pasti, dove la specialità è (ed è stata anche nella Tuscia) la pizza con farina di canapa. Per approvvigionarsi ci sono i supermercati, dove spesso i ravers fanno razzia e pagano con quattro spiccioli: ne sa qualcosa il negozio di Manciano (Grosseto) che ne ha visti entrare otto nudi. In Francia il movimento dei rave è molto forte, in rete ci sono pagine e pagine dedicate agli appuntamenti. In Italia è tutto più nascosto. La testimonianza su quella che chi vi partecipa preferisce definire “subcultura underground” è raccontata in un libro del 2015 sotto la cui pagina ufficiale si ritrova una fetta consistente dei ravers italiani. Qui, in queste ore, anche coloro che frequentano abitualmente questo mondo non hanno risparmiato le critiche: «Anche a me piace questo tipo di musica, ma siete entrati in un’azienda privata senza autorizzazione », si legge fra i commenti.

«Sono uno che di rave, teknival e tribe ne ha frequentati e non facciamo finta di niente. Ho visto coi miei occhi genitori strafatti che mentre il loro bimbo di 6 anni chiedeva del latte si facevano le stagnole e le spade. L’arrivo della ketamina e delle droghe pesanti ha devastato questo mondo. Di cultura ne è rimasta ben poca». Eppure, il ballare in un campo invaso, dentro un capannone dismesso, un’ex base militare, in mezzo a centrali elettriche, è considerato un atto di “ribellione anarchica”, un gesto politico anche contro «il ticket da pagare per potersi divertire». E adesso, anche contro i locali chiusi ed i festival di musica elettronica (quelli veri e di grande livello in giro per l’Europa), fermi da due anni per il Covid.

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