sabato 27 settembre 2014
Fondi ridotti da Comuni e Regioni. Le famiglie integrano di tasca propria. Esemplare il caso dell’Abruzzo che prevede a carico del paziente una quota di compartecipazione tra il 30 e il 60% per il servizio di riabilitazione.
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Non si tratta di gentili concessioni. La garanzia dell’assistenza e dell’accesso alle prestazioni sanitarie per i non autosufficienti, senza mandare in default il bilancio familiare, è un diritto. Un diritto che adesso, a cominciare dall’Abruzzo, rischia di essere messo in discussione. L’hanno già ribattezzata il “ticket per i disabili” la nuova trovata della regione guidata da Luciano D’Alfonso per rimpinguare le casse del sistema sanitario sottoposto a piano di rientro. Una quota di compartecipazione tra il 30 e il 60% del costo del servizio di riabilitazione nelle strutture private a carico dei pazienti, applicata dal 1 ottobre sulla base di due decreti agostani (n.91 e 92) del governatore-commissario ad acta della sanità abruzzese. Sabrina Serafini così, ad esempio, per continuare a mandare cinque giorni la settimana il figlio Franco – disabile grave – nel centro riabilitativo dovrà sborsare 600 euro a mese. Ma si può arrivare anche a duemila euro per un’assistenza territoriale residenziale per disabili privi di sostegno familiare. Il caso Abruzzo, comunque, è solo l’ultimo effetto della politica dei tagli lineari che vive il settore socio-sanitario in Italia, sebbene generalizzare sia impossibile, con 21 regioni che viaggiano a velocità diverse. Il nuovo Patto per la salute rassicura sui fondi previsti nei prossimi tre anni ma non sulla fine delle diseguaglianze tra i cittadini nell’accesso ai servizi. A mettere in allarme alcune associazioni che fanno parte del Csa (Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base) è l’articolo 6 del Patto: prevede che le prestazioni sociosanitarie siano effettuate «nei limiti delle risorse previste» e che spetti alle Regioni decidere quale integrazione stabilire tra i servizi, in particolar modo per disabili e non autosufficienti. «Un’inaccettabile discriminazione tra soggetti malati, in contrasto con le leggi in vigore», sostengono Aps (Associazione promozione sociale), l’Ulces (Unione per la lotta contro l’emarginazione sociale) e l’Utim (Unione per la tutela degli insufficienti mentali), che hanno deciso di far ricorso al Tar contro la norma approvata da governo e Regioni il 10 luglio scorso. Pure il sociale, comunque, non se la passa meglio. E anche in questo caso si viaggia in ordine sparso. La spesa sociale comunale per la disabilità, tanto per citare una voce in bilancio, nel Centro e al Sud non arriva mai nemmeno al 20% delle uscite complessive, contro una media nazionale vicina al 25%. In più, il denaro speso pro-capite per la disabilità nel nostro Paese oscilla dai 771 euro del Sud ai 5.370 euro del Nord-Est (dati Istat). Ed ecco che dove non arriva il pubblico ci si arrangia, in famiglia. Con la rete di assistenza informale e quel lavoro di cura privato quantificato in quasi 10 miliardi di euro l’anno. Ma non basta più. Ad aggravare il tutto, il fatto che nelle casse comunali, stando alla recente ripartizione del Fondo di solidarietà, arriveranno 172 milioni di euro in meno. Perciò a farne le spese, molto probabilmente, saranno ancora i soliti noti. I primi campanelli d’allarme stanno già suonando, soprattutto al Nord. A Torino, il sindaco Piero Fassino dovrà fare i conti con 4 milioni di euro in meno di trasferimenti, idem a Venezia dove ne mancheranno 5. Proprio la città lagunare ha appena sospeso gli abbonamenti gratuiti ai mezzi di trasporto pubblico a favore degli invalidi fisici o psichici totali. Dimezzati gli sconti per il bus e le mense scolastiche anche nel comune di Portogruaro, ma sono in atto piani di revisione della spesa in tutto il Veneto dove agli enti locali non arriveranno 25 milioni di euro. Tuttavia sono persino gli scuolabus i nuovi obiettivi dei tagli dai sindaci italiani. Ultimo caso in ordine di tempo è il comune mantovano di Villimpenta, dove dall’inizio della scuola si viaggia con un solo pullmino – rinunciando al servizio capillare nelle frazioni – pur di risparmiare 18mila euro.
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