martedì 15 ottobre 2013
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Voci che si sono inseguite per tutta la giornata, poi in serata la conferma: i tagli alla sanità pubblica nella bozza di Legge di Stabilità ci sono eccome. La sforbiciata è pesantissima: due miliardi e 600 milioni di euro. In particolare, gli stanziamenti per la sanità saranno ridotti di 500 milioni nel 2014, 1.040 milioni nel 2015 e 1.110 milioni nel 2016. E oltre la metà dei risparmi si otterrebbero appunto da una ulteriore riduzione della spesa farmaceutica per 660 milioni in tre anni (220 l’anno) attraverso l’ennesima rideterminazione dei tetti di spesa. E di nuovo sarebbero tagliati i tetti di spesa per le prestazioni di assistenza ospedaliera e specialistica dei privati accreditati, che passerebbero da un taglio del 2% a un taglio del 4% (per 840 milioni in tre anni, 280 l’anno). Ma potrebbero essere anche altri i settori chiamati a contribuire, visto che così all’appello per arrivare al totale di 2,650 in tre anni manca ancora un miliardo. Il governo in serata cerca di rassicurare: i tagli alla sanità saranno più che altro improntati ad una messa a punto della governance. Insomma: si tratta.Numeri che però hanno già mandato su tutte le furie gli enti locali, le associazioni, le aziende sanitarie e soprattutto il ministro alla Salute, Beatrice Lorenzin. «Le voci sui tagli alla Sanità – ribadice il ministro – sono assolutamente non percorribili. L’ho detto al ministro Saccomanni, il sistema non può reggere tagli di questo tipo». All’inizio i governatori sembrano scegliere la strada della prudenza – per vedere ad esempio se il governo manterrà gli impegni presi più volte, in primis «la copertura dei 2 miliardi di ticket» che rappresenterebbe in caso di diniego un altro “bagno di sangue” – ma poi passano all’attacco. Il segretario nazionale della Lega Nord, che è pure governatore della Lombardia, Roberto Maroni picchia i pugni sul tavolo: «Rabbrividisco di fronte all’idea che la sanità venga tagliata. Appoggio Lorenzin nella protesta». Dalla Regione Puglia parla il governatore Nichi Vendola, capo di Sel: «Questa è la linea del Piave tra la vita e la morte. Sullo schermo del governo va in onda sempre lo stesso film. Lacrime e sangue per i soliti noti. I tagli servono a non far pagare l’Imu ai ricchi». E man mano che, con il passare delle ore, i contorni della “mossa” del governo si delineavano, il fronte degli enti locali ribelli – la sanità è materia propria delle Regioni – si allarga. «Se il governo pensa di tagliare le tasse aumentando le spese delle istituzioni locali queste dovranno mettere nuove tasse e siamo daccapo», chiosa il presidente della Liguria, il democratico Claudio Burlando. Le Regioni con il decreto Salva Italia del precedente governo Monti avevano incassato un aumento dell’1% dell’Irpef regionale in cambio della promessa di abbassare nel tempo la spesa sanitaria, in vista di ulteriori tagli. Da Caldoro (Campania), passando per Zaia (Veneto) e arrivando a Serracchiani (Friuli-Venezia Giulia) e Scopelliti (Reggio Calabria) tutti i governatori si schierano contro i tagli ipotizzati dal governo. Il coro delle lagnanze però supera i contorni istituzionali e in campo scendono pure le imprese e le associazioni senza scopo di lucro, che ormai sono diventate un cardine del sistema socio assistenziale. Preoccupazione, per esempio, è stata espressa dal Forum Nazionale del Terzo Settore. Conclude il presidente di Farmindustria, Massimo Scaccabarozzi: «I tagli penalizzerebbero per l’ennesima volta le imprese del farmaco che investono nel Paese. Le aziende a capitale estero sarebbero costrette a disinvestire e quelle a capitale italiano ad abbandonare i confini dell’Italia o addirittura a cessare le attività, con gravi danni all’occupazione e all’export».
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