giovedì 26 novembre 2020
Tracce di Covid possono resistere anche 7 giorni sull’esterno dei dispositivi di protezione Su 100 città, in 48 residui di Rna nelle acque reflue
Superfici e mascherine, ecco dove il virus resiste più a lungo

Ansa

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Non bastano solo i tamponi per monitorare l’andamento della pandemia Covid–19 in Italia. Le analisi delle acque, dell’aria e delle superfici degli ambienti lavorativi e ospedalieri possono infatti fornire una panoramica completa sulla diffusione del coronavirus. Esperti del Gruppo Lifeanalytics, azienda specializzata da oltre 40 anni nei servizi di analisi chimica, microbiologica e biologica, hanno condotto indagini su tutto il territorio italiano al fine di tracciare il materiale genetico del coronavirus su superfici, acqua e aria. Il primo monitoraggio è stato effettuato, da aprile ad oggi, all’interno di oltre 180 aziende e strutture sanitarie per verificare la buona riuscita delle attività di disinfezione, garantendo ambienti lavorativi covid–free.

Secondo l’indagine, la presenza dell’Rna del coronavirus, in media, è stata rilevata sul 5% delle superfici anche dopo la normale attività di disinfezione. Nonostante la trasmissione del Covid–19 da contatto con superfici contaminate sia meno frequente, questa percentuale identifica comunque un rischio per i lavoratori e per il personale ospedaliero. Un fattore di rischio contagio sicuramente più alto è rappresentato dall’utilizzo di dispositivi di protezione individuale non adatti al contenimento del virus. Un recente studio pubblicato sulla rivista Lancet dimostra come le tracce del coronavirus possano resistere anche fino a 7 giorni sull’esterno della mascherina.

Lifeanalytics ha eseguito test di efficacia e qualità sulle mascherine fornite ai dipendenti di oltre 50 imprese. I test si sono concentrati sulla resistenza alla penetrazione di sangue sintetico, l’efficienza di filtrazione batterica e sulla determinazione della carica microbica sulla superfice. Da sole però le analisi ambientali non sono sufficienti per fornire un quadro completo dell’andamento della pandemia: fondamentali restano il monitoraggio delle acque reflue e della qualità dell’aria. Secondo le recenti attività svolte da chimici e biologi in circa 100 città, la presenza dell’Rna del virus è stata riscontrata nel 48% dei casi nelle acque reflue. “Studi internazionali dimostrano come il monitoraggio delle acque reflue consenta di prevedere, anche con qualche giorno di anticipo, la presenza di un focolaio.

Le analisi ambientali e delle acque potrebbero quindi essere un reale strumento in più per prevedere e rallentare la diffusione del Covid–19” spiega Giovanni Giusto, direttore di Lifeanalytics. Le analisi condotte dai laboratori del si basano sulla Real Time PCR (Reazione a catena della polimerasi di trascrizione inversa) che include l’estrazione di Rna – RiboNucleic Acid dai campioni prelevati, ovvero lo stesso metodo utilizzato per identificare la positività di un paziente con il tampone.

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