sabato 11 febbraio 2017
Le nuove norme sembrano ridurre il dossier profughi solo a un problema di ordine pubblico. Ma l'Italia ha anche bisogno di formare lavoratori per quei 500mila lavori che nessuno vuole più.
Foto Ansa

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La stretta sull’immigrazione annunciata dal ministro dell’Interno Minniti è arrivata. L’efficacia andrà pesata nel tempo, ma se il fine è fare chiarezza su chi ha diritto di restare o meno in Italia e in Europa, serve anche più chiarezza sugli obiettivi perché, nonostante le rassicurazioni del premier Gentiloni sull’ancoraggio ai "valori italiani", restano perplessità. A cominciare dall’impressione che si rincorra la pancia di una parte dell’opinione pubblica, derubricando il caso serio dei profughi a nodo di ordine pubblico. Non è così, nonostante crescenti toni allarmistici il flusso porta sulle nostre coste l’equivalente dello 0,3% della popolazione italiana non certo un’emergenza che impone svolte securitarie.

Sia benvenuto, dunque, il progetto di snellire le procedure per il riconoscimento del diritto all’asilo, ma non calpestando garanzie basilari: abolire un grado di giudizio nel ricorso sul "diniego" rischia di creare cittadini di serie B. Bene anche l’idea di far lavorare gratis i richiedenti asilo per le comunità che li ospitano mentre attendono risposta, ma l’Italia ha pure bisogno di formare lavoratori per quei 500mila posti di lavoro che nessuno vuole più. Infine i nuovi Cie. I vecchi furono un fallimento, uno spreco di soldi e una vergogna. Non servono bis.



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