venerdì 13 agosto 2010
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Nel nostro Paese un milione e mezzo di persone soffrono di disturbi dell’apprendimento, 350 mila sono bambini, il 5 per cento della popolazione scolastica, uno su venticinque: a conti fatti, in ogni classe potrebbe esserci almeno un alunno dislessico. Oppure con problemi di disgrafia o discalculia, che significa non riuscire a scrivere e a far di conto. «Capita spesso che gli insegnanti sottovalutino il problema, confondendo un’oggettiva impossibilità di imparare con la scarsa volontà di impegnarsi. «Finisce che oltre a non progredire nello studio come potrebbero – racconta Laura Ceccon che da anni si batte perché suo figlio Alberto possa vivere serenamente la scuola come i suoi compagni – i bambini dislessici si chiudono in se stessi, minati nella loro sicurezza, sconfitti da un sistema basato quasi esclusivamente sulla lettura e la scrittura». Pensare che basterebbe poco per far emergere lo studente diligente e il bambino dotato che è in loro: «Un computer per scrivere, un sistema vocale per imparare ascoltando invece che leggendo, una calcolatrice che li esenti dall’imparare a memoria le tabelline. Sono gli strumenti necessari a un dislessico così come gli occhiali lo sono per un miope o la carrozzina per un disabile motorio. Alcuni insegnanti non hanno voluto capirlo – racconta Laura – e alla fine solo cambiando scuola siamo riusciti a migliorare la situazione di nostro figlio». Alberto adesso ha dodici anni, è sempre stato un bambino intelligente e spigliato, desideroso di imparare. «Fino a sei anni i suoi giochi preferiti erano i libri, li sfogliava, li guardava, li leggeva con la guida di un adulto. Non potevamo immaginare – racconta la mamma – che la sua prima esperienza scolastica sarebbe stata un disastro». Gli amici libri avevano finito per trasformarsi nei più acerrimi nemici di Alberto, le parole nel suo spauracchio». Perfino disegnare era diventato un problema. La scuola sembrava non interessare Alberto minimamente, sono  comparsi i mal di pancia, le intolleranze alimentari, i pianti dirotti. Le note e i richiami degli insegnanti fioccavano: «Il nostro bambino era irriconoscibile. Pigro, disinteressato, superficiale e svogliato secondo la descrizione dei maestri. Solo grazie alla nostra caparbietà, attraverso un percorso lungo e doloroso e senza la minima collaborazione da parte della scuola abbiamo capito che nostro figlio era dislessico. Cosa che ha consentito a lui di liberarsi da un peso e da un senso di colpa e di inadeguatezza, a noi genitori – ricorda Laura – di intervenire». Oggi, a distanza di anni, Alberto è consapevole dei suoi limiti, pronto a tenerne conto ma deciso a non esserne succube: si è riappacificato con le parole che lo mettono ancora in difficoltà ma gli fanno meno paura di prima: «Legge con fatica, non scrive bene e continua a fare errori – spiega la sua mamma – ma ha una buona pagella, è tra i migliori in scienze, storia e geografia». Alberto è di nuovo un bambino felice.
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