martedì 3 settembre 2013
Al termine del processo erano stati condannati sei dottori, e assolti i tre infermieri e i tre agenti di polizia penitenziaria imputati. Nel dispositivo si ammette che è "legittimo il dubbio" che sia stato malmenato dai carabinieri.
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Si chiama «sindrome da inanizione» ed è una condizione di decadimento del corpo causata da mancata o insufficiente nutrizione. Tradotto dal freddo linguaggio scientifico della medicina legale, significa che al povero Stefano Cucchi, il 31enne romano arrestato per possesso di 21 grammi di hashish il 16 ottobre 2009 e deceduto sei giorni dopo all’ospedale “Sandro Pertini”, è toccata la morte forse più atroce, quella per fame. Ormai magrissimo e sofferente, venne abbandonato su un lettino d’ospedale da medici «negligenti», incapaci di mettere in atto anche i «più elementari presidi» sanitari, che sarebbero bastati a salvargli la vita.Lo scrivono i giudici della terza Corte d’Assise di Roma, che hanno depositato ieri le motivazioni della sentenza che, tre mesi fa, ha condannato per omicidio colposo il primario del “Pertini”, Aldo Fierro, e i medici Stefania Corbi, Flaminia Bruno, Luigi De Marchis Preite, Silvia Di Carlo, nonché Rosita Caponetti (solo per falso ideologico), assolvendo invece gli infermieri Giuseppe Flauto, Elvira Martelli e Domenico Pepe e gli agenti della polizia penitenziaria Nicola Minichini, Corrado Santantonio e Antonio Domenici.In 188 pagine, i giudici accolgono le tesi dei periti nominati dalla stessa Corte, scrivendo che Cucchi è morto per le condotte dei medici condannati, «contrassegnate da imperizia, imprudenza e negligenza sia per la omissione della corretta diagnosi», non avendo «i sanitari individuato le patologie da cui era affetto» (in primis, lo stato «di magrezza estrema»), sia «per avere trascurato di adottare i più elementari presidi terapeutici» che «sarebbero stati idonei a evitare il decesso», sia infine «per avere sottovalutato il negativo evolversi delle condizioni del paziente che avrebbero richiesto il suo urgente trasferimento presso un reparto più idoneo». In particolare, il responsabile della struttura protetta del Pertini, Fierro, è stato condannato a due anni per non aver «adempiuto a nessuno dei poteri-doveri che gli competevano in quanto dirigente sovraordinato. Al contrario, si è negligentemente disinteressato di Stefano Cucchi». La Corte ha rigettato la tesi d’abbandono d’incapace, proposta dal pm (poiché «tutti i testi esaminati hanno negato che Cucchi, quantunque gravemente sofferente, fosse portatore di una ridotta capacità psichica»), quelle delle difese (un’improvvisa crisi cardiaca) e dei consulenti di parte civile (la famiglia Cucchi), secondo cui il decesso si sarebbe verificato per lesioni vertebrali, poiché «non vi è prova» che tali lesioni «abbiano interessato terminazioni nervose».Le motivazioni argomentano inoltre l’assoluzione delle tre guardie penitenziarie, sospettate d’aver malmenato il detenuto: le accuse sono «incongruenti», si legge, e non si comprende perché «avendo avuto l’opportunità di portare Cucchi in un luogo in cui "non è noto cosa sia occorso", non lo abbiano pestato» lì, attendendo invece di farlo in «celle dove potevano essere sentiti da altri detenuti o da altri operanti in attesa delle udienze di convalida». La Corte non ha ritenuto attendibile il superteste Samura Yaya (detenuto gambiano che riferì d’aver sentito rumori di un pestaggio, mentre era nelle celle del tribunale di piazzale Clodio), sottolineando come «durante un sopralluogo effettuato» costui «condotto nel corridoio attiguo alle celle dichiarava di non riconoscere la cella dove era stato messo».Resta però aperto uno degli interrogativi più dolorosi e angoscianti, per l’opinione pubblica e per i familiari del giovane: «È legittimo il dubbio che Cucchi, arrestato con gli occhi lividi (perché molto magro e tossicodipendente) e che lamentava di avere dolore, fosse stato già malmenato dai carabinieri prima ancora del suo arrivo in tribunale». I giudici precisano che «non è compito della Corte indicare chi dei numerosi carabinieri che quella notte erano entrati in contatto con Cucchi avesse alzato le mani su di lui», ma delineano almeno un’ipotesi: «In via del tutto congetturale potrebbe addirittura ipotizzarsi che Cucchi fosse stato malmenato» dopo la perquisizione.
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