domenica 17 novembre 2013
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«Ho quattordici anni, ma quando mi trucco ne dimostro di più». La frase della più giovane delle ragazzine coinvolte in un giro di prostituzione a Roma, dopo giorni di dialoghi e trattative telefoniche riportate nei minimi particolari da giornali e tv, suona come un ritorno alla realtà. La realtà di una quattordicenne fino a pochi mesi fa come tante altre; in quella età in cui, superato il confine dell’infanzia, si sta a lungo davanti allo specchio, interrogandolo, ansiose. E un giorno che non c’è nessuno in casa ci si trucca, ombretto, e mascara a allungare le ciglia; e poi si torna all’esame severo dello specchio. E così, con gli occhi sottolineati e le labbra accese dal rossetto, ci si dice meravigliate e soddisfatte: ma guarda, sembro proprio una donna.
C’è in verità ancora tanta infanzia in quell’orgoglio di sembrare grande, che solo una quasi ancora bambina può manifestare. E tutto è cominciato come una cosa da niente, un pomeriggio con l’amica a cercare su Internet «un lavoretto, per essere autonome», dice ai magistrati. E il web che, pronto e vorace, risponde, allungando una proposta allettante. E la più grande comincia subito, la più piccola no, non ne ha il coraggio. Ma dopo qualche mese impara, e inizia. Assieme all’amica però, spiega ai giudici, non da sola, perché da sola, con i suoi quattordici anni, ha paura. E presto incontrano il giovane intraprendente che vede in quelle ragazzine una fantastica macchina per fare soldi. Soldi, ne vogliono tanti anche le due amiche, e non bastano mai, golose come sono di vestiti e belle cose; con l’ingordigia, si direbbe, di un bambino finalmente libero di prendere ciò che vuole in un negozio di giocattoli. E intanto nella storia c’è la madre di una delle due che tragicamente incita la figlia a «lavorare», e a non perdere tempo. E c’è un padre, che non s’è mai visto; ma, dice la ragazzina, orgogliosa, «non ne ho mai sentito la mancanza». E di nuovo quel fingersi grande, autosufficiente, quel voler mostrare agli altri un viso più adulto, cancellando la bambina di appena pochi mesi fa.
Allora questa adolescente che da giorni è diventata la figlia che nessuno vorrebbe, la Lolita avida e spregiudicata, si mostra come è: una che ha quattordici anni. Ma, a differenza delle nostre figlie, attorno a sé nell’istante in cui è diventata grande ha trovato un vuoto profondo. Nessun padre, e una madre che quei soldi comunque li prende («mamma pensava che spacciavo, non avevo il coraggio di dirle che mi prostituivo»); e nessuno, pare, che a casa o a scuola sia mai riuscito a dirle credibilmente che ogni persona ha un valore infinito, e dunque non può avere un prezzo. Di modo che della più piccola di quelle che da una settimana vengono chiamate «baby squillo» viene da dire in realtà: povera bambina. Per quanto adulta tu possa sembrare, per quanto tu abbia imparato di squallore, bambina, ancora. Fai pensare a un giovane animale selvatico che per la prima volta si sia inoltrato solo nella giungla; solo che la tua giungla è stata più bugiarda e subdola di quella vera. Appena affacciata sul web sei caduta in trappola, e non avevi nessuno, accanto, a fermarti. A volerti bene abbastanza da dirti: non farlo. È odioso pensare alle mani di padri di famiglia che ti hanno trattato come una cosa. E a come ti sentivi, in fondo al cuore, quando tornavi a casa.
Ora i giornali parlano di te come di un fenomeno, e non tralasciano alcun particolare: telefonate in cui si discute di come, dove, quanto, come di una merce, e nemmeno tanto preziosa. Sui siti on line di alcuni quotidiani la tua storia è la più letta. (E viene da domandarsi se davvero questa è informazione, o un’informazione di cui si possa andare fieri). Ma la 'Lolita' in quella frase, come detta allo specchio, si svela. «Quando mi trucco, sembro più grande». «Sembro»: e nel vuoto desertificato di certe case, di certe amicizie, di certi adulti, «sembrare» è tutto. E ciò che sei davvero – una che ha quattordici anni – conta, sotto a quella apparenza, meno di niente.
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