martedì 29 agosto 2017
È arrivato in Italia dal Congo quando aveva solo tre mesi.
«Soldi per avere un diritto? È discriminazione»
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Jacques Tamankueno Lutondo, trentunenne dall’accento romano, ha vissuto il 99,2% della sua vita in Italia, dove è arrivato dal Congo quando aveva solo tre mesi. C’era ancora la Guerra Fredda, Craxi inaugurava il suo secondo Governo e Loretta Goggi conduceva Sanremo. Racconta: «Mio padre era emigrato nel 1980, mamma ed io lo raggiungemmo alla mia nascita, sei anni dopo».

Da allora, per 31 anni, Jacques non è mai tornato nello Stato africano. Anzi, non ha mai messo piede fuori dall’Italia, con la sola eccezione del Vaticano. I suoi mancati appuntamenti con il riconoscimento dell’italianità mostrano l’arretratezza della legge. Il primo è quando spegne le 18 candeline: nonostante più di 17 anni in Italia e le scuole frequentate a Roma dall’asilo alle superiori, Jacques non può ottenere la cittadinanza per quei tre mesi di vita passati in Congo.

All’università il ragazzo si iscrive a Scienze politiche alla Sapienza: mentre studia, svolge, come molti coetanei, vari lavori (guardiano notturno, operatore presso un internet point) in nero, oppure solo part-time. Ecco il secondo appuntamento mancato, che in realtà si ripete più volte: «Non avevo tre anni di redditi sufficienti per divenire italiano ». È quello che prevede la norma attuale: non si viene riconosciuti italiani se si è poveri. Insomma, la cittadinanza è una questione di soldi, oppure di 'sangue' (trasmessa dai genitori). «Ora ho iniziato - conclude Jacques - a lavorare con contratto per la Croce Rossa, vedremo se nei prossimi anni sarò riconosciuto cittadino del Paese dove vivo 'da una vita'».

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