sabato 7 aprile 2012
Fini lancia due petizioni popolari: divieto di candidare condannati, anche in primo grado, per corruzione, truffa e associazione per delinquere; espulsione in caso di sentenza definitiva.​
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Si ragiona sullo strumento, se ricorrano o meno i requisiti di urgenza previsti per il decreto legge. Ma anche nel merito della necessità di rivedere il finanziamento pubblico dei partiti la discussione è accesa. Così, il giorno dopo le storiche dimissioni di Umberto Bossi, travolto dallo scandalo della Lega, la politica si interroga sull’opportunità di una modifica, che a caldo tutti hanno visto come la logica conseguenza per frenare la pratica sempre più diffusa del malaffare. E spunta l’ipotesi di una Authority che verifichi l’uso dei soldi pubblici.Nel dibattito scendono in campo anche le alte cariche dello Stato. Il presidente della Camera, che è anche leader di Fli, lancia due petizioni popolari per non candidare condannati – pure se in primo grado – per truffa, corruzione o associazione a delinquere e espellere dalla Pubblica amministrazione chi ha una condanna definitiva. Gianfranco Fini, comunque ritiene «innegabile» l’«urgenza di rivedere le norme relative ai rimborsi elettorali e di garantire la trasparenza dei bilanci dei partiti». Insomma, «la "straordinaria necessità e urgenza" che la Costituzione richiede perché sussistano i presupposti di un decreto legge da parte del governo mi sembra di tutta evidenza, ma serve il via libera dei segretari dei partiti politici», scrive in una lettera al "Corriere della sera".E se Fini chiama in causa il Senato perché si metta mano quanto prima a una riforma a partire dalle tante proposte già presentate, Renato Schifani non nega che «la questione dei rimborsi elettorali sia reale ed è anacronistico anche il solo pensare al mantenimento dell’attuale legge. La politica deve avere la capacità e la forza di uno scatto d’orgoglio che va dimostrato con i fatti». Ma, sempre sullo stesso quotidiano, il presidente del Senato richiama gli stessi partiti a muoversi, perché, spiega, «un eventuale intervento con decreto del governo rischierebbe di avere il sapore di una sconfitta della politica».E anche l’esecutivo preferirebbe evitare di intervenire sulla delicata materia che non lo riguarda direttamente. Nelle consultazioni informali di Palazzo tra esperti della materia, si fanno due ipotesi di merito: una sorta di Consob sui partiti, che svolga i controlli della Commissione di sorveglianza della borsa o l’obbligo per i partiti di sottoporre i bilanci a società esterne.Ma sull’ipotesi di abolire il finanziamento pubblico bisogna andare cauti, avvisa Pier Ferdinando Casini. «La gente deve decidere se pensa che i partiti possono essere solo quelli finanziati da chi ha i soldi, allora aboliamo del tutto il finanziamento e Berlusconi il suo partito se lo farà, altri no». Ma la soluzione del leader dell’Udc è un’altra: «Quando i soldi non si spendono alla fine dell’anno, quelli in eccedenza vanno restituiti». Così come «quando i partiti come la Margherita chiudono, non possono più ricevere rimborsi», poi «ci vuole un controllo della Corte dei conti sui bilanci e le spese dei partiti. Io l’avevo già proposto con un disegno di legge, siamo disponibili anche a un decreto legge sulla corruzione».Dopo i casi Lusi e Belsito, dunque, il dibattito è ampio e serrato. «Siamo davvero sicuri che la risposta attesa dal Paese sia fatta di maggiori controlli e filtri e di meno soldi ai partiti?» si chiede dal Pdl Osvaldo Napoli. «Chi sostiene il finanziamento lo chiami finanziamento, e rimborso chi sostiene il rimborso», ragiona dal Pd Arturo Parisi. «È bene che chi propone nuove regole spieghi prima perché le regole esistenti non sono state rispettate». O «il rischio è che nuove leggi finiscano per annunciare solo nuovi inganni».​
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