giovedì 19 maggio 2016
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Sulla costa a metà strada tra Tripoli e Tobruk, simbolo anche geografico del vuoto di potere che paralizza la Libia nonostante i proclami del governo di unità nazionale di Fayez al-Sarraj, Sirte è il più importate insediamento del Califfato islamico al di fuori di Iraq e Siria. La città portuale a soli 500 chilometri di mare dalla Sicilia, è la “capitale” del Daesh più vicina all’Europa. Dopo Raqqa e Mosul un terzo epicentro del terrorismo jihadista che replica, questa volta sulle sponde del Mediterraneo, la violenza e il terrore delle altre due più note capitali del Daesh. Dal febbraio del 2015 a marzo di quest’anno – denuncia un rapporto di Human Rights Watch (Hrw) – sono state almeno 49 le esecuzioni illegali di «spie», «maghi», ma anche di prigionieri e feriti di milizie rivali, mentre un giovane uomo è stato ucciso con l’accu- sa di blasfemia. Testimonianze raccolte da Hrw direttamente da profughi fuggiti a Misurata che raccontano di «pubbliche decapitazioni », corpi in «tute arancioni appesi ad impalcature» in quelle che vengono definite come «crocifissioni», e «combattenti con il volto coperto che strappano uomini dai loro letti nella notte». Repressione di ogni dissenso, mentre la vita quotidiana a Sirte «è insopportabile, chiunque vive nel terrore. Stanno uccidendo gente innocente», dichiara Ahlam, fuggito a Misurata. La polizia islamica, aiutata da informatori locali, minaccia, multa e frusta gli uomini che fumano per strada, ascoltano musica e non garantiscono che la testa delle loro mogli e sorelle sia coperta da nere abaya (l’abito tradizionale femminile). Inoltre il Daesh saccheggia e distrugge le case dei nemici, impedisce le lezioni all’università e controlla i programmi delle scuole elementari La prima infiltrazione di miliziani provenienti in gran parte da Derna risale alla fine del 2014, in una città allora sotto il controllo degli islamisti di Ansar al-Sharia: ora circa 1.800 terroristi, il 70 % dei quali stranieri, controlla con il supporto di elementi locali, la città e 200 chilometri di costa. Due anni di sharia e terrore imposti con la forza e privando i civili anche di cibo, assistenza sanitaria di base a vantaggio dei miliziani: fatto che costituisce un «crimine contro l’umanità». La riconquista di Sirte potrebbe avere un impatto molto forte sulla popolazione locale. Carta che intende giocare il generale Khalifa Haftar, che guida le forze fedeli all’autorità di Tobruk e che ieri ha dichiarato esplicitamente di non riconoscere ile governo di unità nazionale del premier Fayez Al Sarraj: «Non penso che questa soluzione imposta dall’Onu avrà successo», ha affermato. La legittimazione del potere per Haftar verrà dalla sconfitta del Daesh: «Sirte presto sarà liberata», ha annunciato il generale Haftar in una intervista. Riprendere il controllo di Sirte è «molto più semplice» di riconquistare «Bengasi e Derna», ha aggiunto il generale libico, sostenuto dall’Egitto e dagli Emirati Arabi. Un banco di prova certo per Fayez al-Sarraj che ieri replicava: abbiamo ripreso la città di Abu Grain, 140 chilometri a ovest di Sirte. Ma Sirte è anche il simbolo della fine di Gheddafi: lì nel 2011 venne barbaramente assassinato il colonnello in fuga: «Eravamo pieni di speranza. Poi, passo dopo passo, il Daesh ha preso piede. Ora ci sentiamo perseguitati », dichiara un cittadino di Sirte a Human Rights Watch. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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