sabato 13 gennaio 2018
L'alleanza con il Pd appare impossibile agli uomini di Grasso, che non sostengono Gori. L'assemblea candida Rosati. Boldrini chiude a M5S. Lazio, mandato a Grasso per intesa con Zingaretti
Pietro Grasso (Ansa)

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La spunta Onorio Rosati. Sarà il candidato di Leu alla presidenza della Regione Lombardia. L’alleanza con il Pd appare impossibile agli uomini di Grasso, che non trovano nessun appiglio per sostenere Giorgio Gori. Almeno per il Pirellone l’intesa con i dem non si farà. Per il Lazio le condizioni sono diverse e il leader di Leu cerca di prendere in mano la situazione. Punti programmatici comuni si possono trovare. Con Zingaretti è più facile e prevale l’ala bersaniana.

Le due anime di Leu, Mdp e la sinistra di lotta si scontrano nelle due assemblee regionali chiamate a decidere le modalità della corsa parallela alle politiche del 4 marzo. Ma lo scontro più duro resta quello per la Lombardia. Da giorni Rosati, indicato come concorrente per lo scranno lasciato libero da Maroni, non intende mollare. «Le scelte compiute dal Pd hanno rappresentato un ostacolo insormontabile » per l’alleanza, spiega il consigliere regionale uscente, ex Cgil. «Il problema non è legato a rancori personali, il problema è tutto politico. Serve introdurre una radicale discontinuità alle politiche del centrodestra degli ultimi 23 anni». E secondo Rosati gli appelli arrivati da Largo del Nazareno, dai padri nobili del Pd e anche da Camusso e dalla Cgil sono ormai «tardivi». Liberi e uguali, dunque, correrà da solo. Una decisione che lascia la bocca amara a molti esponenti di Mdp, decisi a chiudere invece l’accordo per il Lazio con Nicola Zingaretti.

All’assemblea romana prevale questa soluzione e lo stesso leader di Leu ascolta in sala le ragioni dei suoi. Bisogna fissare paletti chiari, dicono i suoi. Piero Latino, uno dei dirigenti del partito, ne elenca una serie: «Approvazione entro 6 mesi del piano rifiuti, no a nuovi inceneritori, no alla Roma-Latina reinvestendo i finanziamenti in modo più efficiente e moderno, una potente cura del ferro, la revisione della legge sulla rigenerazione urbana verso il consumo di suolo zero, una azione più incisiva e non insufficiente sulle crisi aziendali, un reddito minimo garantito per il reinserimento dei lavoratori espulsi dal ciclo produttivo, massicci investimenti sul diritto allo studio».

Laura Boldrini condivide. Un’alleanza, dice, «non può prescindere dal merito, bisogna evitare le alleanze contro». Di certo, la presidente della Camera – a differenza di molti compagni di partito (Fassina lo ribadiva ancora ieri) – esclude un’intesa con M5S. «Non credo che ci siano punti di congiunzione con i 5 Stelle che non sono un partito progressista e di sinistra ». E poi, «in questi anni ho visto come il comportamento del M5s ha fatto di tutto per delegittimare l’istituzione parlamentare che è il cuore della nostra democrazia, con il loro comportamento, un comportamento di chi non le rispetta».

Il leader di Leu ascolta e prende nota. In serata, gli viene conferito un mandato di sondare la possibilità di correre per Zingaretti. «Ho ricevuto un mandato preciso su temi precisi – spiega Grasso – , se Zingaretti accetterà questi temi saranno i temi di Liberi e Uguali: chi accetta questi punti noi lo appoggiamo ». Non si fa troppe illusioni Matteo Renzi, che resta a guardare, in attesa delle scelte finali. «Se c’è l’alleanza è un fatto positivo. Ma non sono in grado di decidere, influenzare o valutare su un partito che notoriamente non mi ama». Quanto a possibili svolte dopo le elezioni, il segretario del Pd non ci giurerebbe. «Che andiamo divisi alle politiche è già una risposta. È il partito di Massimo D’Alema – dice con una stoccata agli avversari – e nessuno si stupirebbe se si scoprisse che è vero che D’Alema ha detto di volermi far fuori...».

Nel Pd, però, la delusione della sinistra interna è forte. «È incomprensibile l’atteggiamento di Leu a proposito delle alleanze regionali. Il mezzo passo avanti compiuto, con un via libera a Zingaretti e l’indisponibilità nei confronti di Gori, non può essere spiegato solo con le 'affinità di sinistra' con i candidati», ragiona Cesare Damiano. Tanto più che l’occasione di riconquistare la Lombardia dopo la rinuncia di Maroni non andava sprecata, secondo Damiano. « Le scelte locali non possono essere ricondotte plasticamente alle divisioni nazionali».

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