giovedì 8 ottobre 2020
Silenzi, depistaggi e intrighi politici
I panetti disposti sul molo di Bengasi davanti a uno dei pescherecci sequestrati. L’accusa è quella di traffico di droga.

I panetti disposti sul molo di Bengasi davanti a uno dei pescherecci sequestrati. L’accusa è quella di traffico di droga.

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Da oltre un mese in ostaggio, da tre settimane senza più contatti con le famiglie. Davanti la prospettiva di una lunga detenzione in Libia, ad opera del decadente generale Haftar, scaricato anche dai suoi padrini e in cerca di una nuova occasione per mettere Roma all’angolo e regolare vecchi conti. Non sarà facile per i 18 pescatori della marineria siciliana tornare presto nelle loro case a Mazara del Vallo.

Giorni fa da Bengasi è stata fatta filtrare una foto diffusa dall’agenzia Agi che ritrae uno dei pescherecci sequestrati con a fianco quelli che vengono descritti come dieci panetti di droga. L’accusa per i pescatori è quella di essere coinvolti nel traffico internazionale di stupefacenti. Un business che in realtà, secondo diverse segnalazioni, coinvolge proprio alcune milizie arruolate dall’esercito della Cirenaica. L’accusa, tuttavia, è contraddittoria. Inizialmente la Marina di Bengasi aveva contestato ai pescatori di aver gettato le reti nello specchio di mare che da tempo viene rivendicato dalla Libia come proprio, nonostante si trovi in acque internazionali. Il negoziato per la liberazione degli ostaggi procede a rilento. Ogni giorno che passa, Haftar alza la posta. Inizialmente il generale aveva chiesto la scarcerazione di quattro libici condannati a Catania per vari reati. Una concessione impossibile, in uno Stato di diritto come quello italiano. Così pochi giorni dopo è arrivata la foto con i presunti panetti di droga.


I marittimi sequestrati pagano il prezzo di un lucroso accordo sulla pesca, bloccato mesi fa da Roma, e dell’operazione navale internazionale a guida italiana che di recente ha impedito i rifornimenti di armi alle milizie della Cirenaica

Anche questa una circostanza anomala, dato che i pescatori avrebbero avuto tutto il tempo di sbarazzarsi del carico mentre si avvicinavano le motovedette libiche. Carico che improvvisamente viene fatto apparire un mese dopo l’arresto. Non sarà facile dimostrare che si sia trattata di una montatura. L’Italia, a quanto risulta da varie fonti, ha cercato di riportare il generale a più miti consigli coinvolgendo il triumvirato che ha sostenuto Haftar in questi anni: Russia, Egitto ed Emirati Arabi. Negli ultimi mesi, però, proprio questi Paesi hanno mostrato insofferenza nei confronti del 'maresciallo', incapace di completare l’assedio su Tripoli e mostratosi più volte sordo ai consigli dei suoi foraggiatori. «Unica opzione praticabile – suggerisce una fonte diplomatica – sarebbe coinvolgere la Francia, cui Haftar deve molto, compreso l’avergli salvato la vita quando era stato colpito da un grave ictus». E anche in questo caso Roma dovrebbe pagare un prezzo altissimo. Oltre alle annose partite per l’assegnazione delle esplorazioni petrolifere e lo sfruttamento dei giacimenti, che in Cirenaica hanno visto le società francesi surclassare quelle italiane, Khalifa Haftar ha l’occasione per una ripicca. Un anno fa Federpesca stipulò un accordo con i fedelissimi del generale. La trattativa venne a lungo tenuta riservata; si trattava di un accordo privato, di durata quinquennale «tra Federpesca e la Libyan Investment Authority », si leggeva in una delle scarne comunicazioni ufficiali. Il patto era più simile a un dazio mafioso. Veniva consentito a una flottiglia di 10 motopesca di gettare le reti nelle acque reclamate dai libici, in cambio di una 'tassa' da diecimila euro al mese per peschereccio e a 1,5 euro per ogni chilo di pescato, pesato però a Malta. In cambio, gli armatori siciliani avrebbero potuto rifornirsi rifornirsi di carburante in Libia, a un prezzo più basso così da compensare il 'pizzo' mensile. Ogni passaggio di denaro sarebbe dovuto avvenire attraverso società di intermediazione maltese che avrebbero incassato il denaro per conto di Haftar.

Dopo i primi viaggi dei pescherecci siciliani la protesta del governo di Tripoli, riconosciuto dall’Italia che invece disconosce le autorità di Bengasi, costrinse Roma a far retrocedere Federpesca dall’intesa. Oggi Haftar ha l’occasione per la rivincita su Roma. Sul piatto c’è anche l’operazione navale internazionale Irini, a guida italiana, che nelle ultime settimane più volte ha ostacolato la consegna di armi da guerra alle milizie della Cirenaica. A pagare il prezzo sono i 18 marittimi e le loro famiglie, che da giorni non riescono neanche ad avere contatti telefonici con la prigione in cui sono rinchiusi. I congiunti dei pescatori (mazaresi e tunisini) da giorni occupano l’aula consiliare del Comune di Mazara e oggi i sindacati svolgeranno una manifestazione in loro sostegno. «Abbiamo notizia che la Farnesina è impegnata nella trattativa, della quale non conosciamo i particolari», ha detto il vescovo Domenico Mogavero. La preoccupazione è ora conoscere le condizioni di salute dei marittimi. Tra loro c’è chi va per mare con una scorta di insulina per affrontare il diabete, qualcun altro è cardiopatico. «A noi – chiedono le mogli – basta anche che parli uno solo a nome di tutti e ci dicano che stanno bene». Neanche questa minima richiesta è stata accolta.

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