mercoledì 27 marzo 2019
Meno aborti, più chance alle coppie disponibili ad accogliere figli non loro: progetto di legge leghista per offrire una nuova possibilità alle donne che hanno scelto di non tenere il nascituro
«Si renda adottabile il concepito»
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Basta una parola – «concepito » – e a una parte del Palazzo puntualmente saltano i nervi. Eppure, lui, il concepito, è tutt’altro che minaccioso. Anzi, è «uno di noi», come disse efficacemente la campagna europea che nel 2013 raccolse due milioni di firme nei Paesi Ue per la tutela giuridica dell’embrione umano.

Ora che però un disegno di legge lo mette nero su bianco ecco che riparte la polemica attorno al consueto slogan 'la 194 non si tocca'. Il bello è che il ddl – primo firmatario il deputato della Lega Alberto Stefani, seguito da altri 47 onorevoli del Carroccio – non tocca affatto la 194, proponendo «Disposizioni in materia di adozione del concepito» come alternativa all’aborto per la donna incinta che ha deciso di non tenere il bambino (e che comunque già oggi dispone della legge sul parto in anonimato). In soldoni: per chi vuole abortire non cambierebbe nulla, mentre si introdurrebbe solo una nuova possibilità di libera scelta.

Certo, molto significativa: perché nei 7 articoli del ddl – depositato a Montecitorio il 4 ottobre 2018, curiosamente senza farlo sapere in giro, e solo da pochi giorni incardinato nelle Commissioni riunite Giustizia e Affari sociali – si riconosce nei fatti una soggettività giuridica del concepito che segna un passo avanti con l’intento di ridurre il numero di aborti e di famiglie che sperano in un’adozione (solo una su dieci riuscirebbe nel suo intento).

La novità si esplicita già all’articolo 1, dove si prevede che «la donna può fare ricorso, nell’ambito delle misure alternative all’interruzione di gravidanza di cui alla legge 194, alla procedura di adozione del concepito». Altro fatto nuovo – all’articolo 2 – è l’obbligo per «il consultorio, la struttura socio-sanitaria o il medico di fiducia al quale la donna si rivolge» di informare «per iscritto la donna, nonché la persona eventualmente presentata come padre, della possibilità di ricorrere alle misure alternative all’interruzione volontaria di gravidanza».

È sempre la donna al centro del ddl, in dialogo con la struttura consultoriale: è lei che, «trascorsi i sette giorni» di riflessione previsti dalla 194, «può avviare il procedimento» che – siamo all’articolo 4 – consente di «ottenere lo stato di adottabilità del concepito» che porta in grembo. Dopo aver verificato la «specifica volontà della donna liberamente raccolta presso il consultorio o la struttura socio-sanitaria », l’adottabilità viene dichiarata «con decreto del tribunale per i minorenni del luogo di residenza della madre» oppure «del territorio in cui ha sede il consultorio» o «la struttura socio- sanitaria a cui si è rivolta la donna», ma la donna può cambiare idea «fino al momento della nascita e nei sette giorni successivi ».

Il consultorio, in sostanza, trasmette al pubblico ministero presso il tribunale dei minori» l’«istanza» con la quale «la donna chiede di ottenere lo stato di adottabilità del concepito», equiparato dunque al bambino già nato. È al pubblico ministero che spetta di verificare la «sussistenza dei presupposti » sentendo madre e padre e poi di chiedere «la pronuncia del decreto di adottabilità» al tribunale per i minori, che ha tre giorni di tempo per decidere. E le coppie che vogliono adottare? Se ne occupano gli 8 commi dell’articolo 6, nei quali si parla di una specifica domanda al tribunale dei minorenni, che dispone le indagini e «individua, tra le coppie che hanno presentato domanda, quelle idonee a ricevere in affidamento preadottivo il concepito entro sette giorni dalla nascita». Sempre entro questo termine il tribunale «sceglie la coppia» per il concepito dichiarato adottabile e ne dispone «l’affidamento preadottivo ».

A poter sperare in questa scelta del tribunale però saranno solo le coppie «la cui residenza è posta a una distanza non inferiore a 500 chilometri dal luogo di nascita del concepito », disposizione che punta a prevenire eventuali accordi extra legem o forme occulte di surrogazione di maternità. Datano da qui i due anni – «prorogabili di altri due» – che il ddl fissa come tempo di osservazione sul «buon andamento dell’affidamento preadottivo» del neonato che da nascituro era stato dichiarato adottabile.

Trascorso questo lasso di tempo, lo stesso tribunale si pronuncerà «sull’adozione », ma se deciderà per il rigetto della domanda da parte della coppia questa vedrà venir meno anche l’affidamento. E sarà il tribunale che «assume gli opportuni provvedimenti provvisori in favore del minore».

«UN'ALTERNATIVA AL DRAMMA», «RIPORTARE I CONSULTORI ALLE ORIGINI»

Accolgono il disegno di legge con interesse per i temi affrontati le due principali associazioni per la vita d’ispirazione cristiana. Da giurista, Alberto Gambino, presidente di Scienza & Vita, ritiene che «l’idea di introdurre nell’iter procedimentale che porta all’interruzione della gravidanza » il nuovo percorso dell’adottabilità del concepito «rappresenta una valida alternativa all'aborto che non può che essere presa in considerazione da chiunque abbia a cuore la vita nascente e la stessa salute psico-fisica della madre». L’adottabilità del nascituro potrebbe aprire a forme surrettizie di utero in affitto? «In realtà – spiega Gambino – la surrogazione di maternità è impedita dal fatto che i genitori adottivi sono scelti dal giudice sulla base di una lista nazionale e non ci sono, dunque, contatti preventivi con la donna gestante; inoltre devono dichiarare di essere disponibili ad adottare bambini con malformazioni, situazione impensabile nella maternità su commissione». Quanto alla «capacità giuridica 'forte' del feto» il presidente di Scienza & Vita osserva che «la proposta non mira a sostituire la possibilità di abortire» ma «ad ampliare la libertà di scelta della donna che ha un’alternativa in più rispetto alla scelta abortiva».

Gambino infine ricorda che una proposta analoga fu avanzata da «deputati centristi della scorsa legislatura (Sberna e Gigli)», con la «prospettiva di ridurre sulla psiche della donna le ripercussioni che il dramma dell’aborto spesso provoca». Sulla stessa lunghezza d’onda la presidente nazionale del Movimento per la Vita, Marina Casini Bandini che accoglie con cauto favore il ddl in quanto «riconosce nel concepito un essere umano a pieno titolo, titolare del fondamentale diritto alla vita», battaglia storica del Mpv. Importante anche che venga accolta «l’idea che la rinuncia alla sanzione penale per l’aborto non coincide con l’abbandono della tutela della vita nascente da parte dello Stato», altro tema di impegno storico del Movimento.

Nel testo del ddl si intravede anche la «tutela della straordinaria relazione madre-figlio durante la gravidanza, relazione deturpata dall’aborto». Infine, una misura come quella ipotizzata dal progetto di legge «preserva la salute psichica della madre, altrimenti ferita dalla soppressione del figlio, come ormai provano tante testimonianze e molti studi». Ma Marina Casini Bandini guarda oltre e chiede più coraggio: «La tutela della vita nascente e della maternità durante la gravidanza – afferma – è un tema di primaria importanza che andrebbe affrontato con un respiro più ampio rispetto a quello, pur significativo, dell’adozione dei bimbi in grembo. Nelle scorse legislature sono state presentate proposte di legge per il riconoscimento della capacità giuridica del concepito modificando l’articolo 1 del Codice civile e per la riforma dei consultori familiari affinché siano sganciati da ogni compromissione con le pratiche abortive e siano veramente a servizio della vita nascente e della maternità sul modello dei Cav». Ed è «su queste strade il MpV è disponibile a collaborare con i parlamentari».

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