venerdì 3 maggio 2019
La storia di Justice e Bernice, marito e moglie del Ghana: trasferiti dal ghetto di San Ferdinando, hanno costruito la loro baracca e sudano sui campi a 4,5 euro all'ora. Con poche prospettive
L’interno della baracca dei due immigrati ghanesi sgomberati (foto Mira)

L’interno della baracca dei due immigrati ghanesi sgomberati (foto Mira)

COMMENTA E CONDIVIDI

Dove sono finiti gli immigrati di San Ferdinando dopo lo sgombero di due mesi fa? Molti non avevano accettato di andare in qualche Cas ed erano spariti, andati via autonomamente. Per dove? Due, una coppia, li abbiamo trovati nel ghetto di 'Tre titoli' a Cerignola. Da un ghetto a un altro, da una baracca a un’altra. Una storia che conferma come non bastano le ruspe per risolvere il vergognoso dramma delle baraccopoli. «Lo sgombero è un risultato straordinario», aveva detto Salvini, commentando lo smantellamento a San Ferdinando. Il risultato è davanti ai nostri occhi, e ha il viso di due giovani immigrati. Lavoratori.

Li abbiamo conosciuti grazie a Giuseppe Perta, operatore del progetto 'Presidio' della Caritas che sta seguendo la loro vicenda. Sono Justice (nome che stride con la sua vita, o forse è un messaggio di speranza) e Bernice, marito e moglie del Ghana, 35 anni lui, 28 lei. Arrivati in Italia nel 2017, partiti dalla Libia con un barcone, salvati dalla nave di una Ong e sbarcati a Crotone. Poi San Ferdinando, dove hanno vissuto in una baracca di legno e plastica. «Pagavamo l’affitto», ci dice Justice. Ma sono arrivati lo sgombero e le ruspe. Una soluzione per loro? No. Ora qui vivono in una baracca di legno e plastica, come a San Ferdinando, ma questa volta costruita da loro a fianco di un casolare.

«Sono dei grandi lavoratori però il permesso di soggiorno per motivi umanitari scade nel 2020 e dopo il decreto sicurezza non può essere rinnovato – precisa Giuseppe –. L’unica soluzione è un permesso per lavoro, ma servono un contratto e una casa regolare ». Invece hanno solo la baracca. E non hanno contratto.

«A San Ferdinando stavamo bene – prosegue Justice –, avevamo il contratto per la raccolta delle clementine. Qui non ce lo vogliono far fare». Imprenditori italiani. Eppure lavorano tanto. Lui va a zappare nei campi per preparare le culture. «È un lavoro che mi piace» dice convinto, anche se lo pagano solo 4,5 euro l’ora, per dieci ore (il contratto di categoria prevede 7 euro). E in nero, ovviamente. Così come Bernice che invece raccoglie gli asparagi, sempre per 4,5 euro l’ora, nove ore al giorno piegata in due. E dopo queste durissime giornate li attende la baracca. Laggiù, in mezzo alla campagna, assieme ad altre baracche attaccate a un casolare diroccato dove vivono i meno sfortunati.

Justice non si lamenta, anche se l’interno dell’abitazione (si fa per dire...) è assolutamente disumano. Piuttosto è preoccupato per quel permesso di soggiorno che, dopo il cosiddetto decreto sicurezza, non ha un futuro. Ma non sono soli. C’è qualcun altro che non usa ruspe ma cuore. Sono i volontari di 'Presidio' e di Migrantes della diocesi di Cerignola-Ascoli Satriano. Da anni sono al fianco degli immigrati dei ghetti. Ancor di più dopo l’apertura di Casa Bakhita proprio a 'Tre titoli': casa di tutti, casa del dialogo. Una bella squadra che si sta dando da fare. Senza nessun motivo se non quanto dicono il Vangelo e la Costituzione.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: