giovedì 13 dicembre 2018
Nel luogo simbolo dell’illegalità funziona l’allontanamento delle famiglie occupanti. Cruciale l’alleanza tra enti locali e parrocchia. Contributo ai nuclei familiari per trovare affitti altrove.
L'immobile sgomberato a Castel Volturno (foto di Carmen Sigillo)

L'immobile sgomberato a Castel Volturno (foto di Carmen Sigillo)

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Uno sgombero dal volto umano. Niente ruspe, niente blindati, niente forze dell’ordine in assetto antisommossa, niente tensioni. Pagando gran parte dell’affitto alle famiglie occupanti, convinte così ad andarsene, garantendo un lavoro ai capifamiglia e tutelando anche alcune decine di immigrati altrettanto abusivi. Un sogno? Un miracolo? No. È accaduto oltretutto in un luogo simbolo di degrado e illegalità, Castel Volturno, diventato ora simbolo di una positiva alleanza tra amministrazione comunale, impresa e parrocchia. Siamo a Parco Saraceno, complesso di trenta palazzine di tre piani in riva al mare, realizzato alla fine degli anni 70 dalla famiglia di costruttori Coppola per ospitare i militari americani. Per 15 anni è un elegante quartierino, con una sua ricercatezza di progetto: la spiaggia, il verde, appartamenti rifiniti e luminosi. Un gioiellino. Poi i soldati Usa se ne vanno e tutto finisce nell’abbandono, nel degrado, tra occupazioni di famiglie emarginate e fragili e piccola delinquenza. Luogo di spaccio ma anche di dignitosa povertà. Lo abbiamo conosciuto 28 anni fa, in occasione del nostro primo incontro professionale con Castel Volturno. Sotto le palazzine c’erano mamme col passeggino, fidanzati ma anche scambi di droga. E già allora tanto degrado. Molto apprezzato dai registi. Proprio qui si è girato parte di "Gomorra", compresa la famosa scena dei ragazzi in costume da bagno che sulla spiaggia sparano coi kalashnikov. E sempre qui è stato ambientato il recentissimo "Dogman", candidato italiano al premio Oscar 2019.
Degrado vero. Tollerato a lungo. Figlio del degrado di tutta Pineta mare, frazione marina di Castel Volturno. Le palazzine del Parco perdono letteralmente i pezzi, i ferri del cemento armato sono in molte parti scoperti, i lunghi balconi pericolanti, fili elettrici volanti un po’ dovunque. Non si può credere che qui vivano decine di famiglie, e invece su quei balconi ci sono tanti panni stesi, antenne e parabole. Anche se gli infissi sono precari o addirittura sostituiti da teli di plastica. Immagini di una reginetta decaduta. Eppure per tanti è stata casa e anche comunità. Ogni tanto un blitz delle forze dell’ordine e la minaccia di sgomberi. Mai realizzati. Poi nei mesi scorsi proprio la famiglia Coppola (proprietaria di molti altri immobili della zona, compreso l’hotel dove si allena il Napoli) si è fatta avanti con una proposta concreta e trasparente. Alle 32 famiglie occupanti vengono offerti 200 euro al mese per tre anni come contributo per prendere in affitto una casa altrove. Una casa vera e non precaria. Tutto nero su bianco, sia il contributo che l’affitto, con la possibilità di scegliere la casa autonomamente o col supporto delle società dei Coppola. Per gli immigrati, attualmente una trentina, non avendo loro un conto corrente, si è scelto di pagare, sempre con un atto regolare, un contributo alla Caritas della parrocchia di Santa Maria del Mare, guidata da 49 anni da don Antonio Palazzo, che poi si occuperà di distribuirlo ai migranti che stanno trovando delle autonome sistemazioni.
Restano ancora quattro famiglie italiane abusive che per ora non hanno accettato l’offerta, per motivi personali e di salute, anche con disabili. Non si fidano. Di loro si sta occupando l’ufficio Affari sociali del comune e si hanno concrete speranze di convincerli. Ovviamente neanche con loro si userà la forza. Ieri, infatti, sono state staccate le utenze elettriche degli appartamenti già liberi, ma non quelli delle quattro famiglie. Nessun problema, tutto tranquillo. E molto presto cominceranno i lavori di recupero e bonifica. Perché qui è in ballo un affare da 130 milioni di euro, l’investimento per la realizzazione di un porto turistico atteso da decenni, del quale Porto Saraceno sarà parte integrante. E qui c’è l’altra bella notizia. Per questi lavori sono già stati assunti alcuni dei componenti delle famiglie ex occupanti e altri lo saranno in seguito. Davvero una nuova vita. «Se avessimo voluto fare alla Salvini avrei fatto intervenire da tempo la forza pubblica – dice il sindaco Dimitri Russo – ma come avrei fatto a metterli in mezzo a una strada? Abbiamo scelto uno sgombero dolce, mediato, grazie alle scelte della famiglia Coppola. Un modello da osservare e esportare». La stessa riflessione che fa don Antonio. «È una scelta dal volto umano. Ci stiamo distinguendo dalla forza usata altrove. Anche qui, in questo clima, si sarebbe potuto usare e invece si è scelta una via indolore per dare un gesto di solidarietà verso persone in difficoltà».

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