lunedì 26 gennaio 2015
A Milano ci sono 10mila alloggi pubblici sfitti vuoti. Gli inquilini: fatto che non accadeva da trent’anni.
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Alla signora Amelia l’hanno comunicato appena un’ora fa. «Non si è mai preparati abbastanza, anche se sapevo che prima o poi sarei dovuta uscire» dice adesso tra le lacrime. Le procedure per lo sfratto, zona Piazzale Susa a Milano, erano in corso da tempo, «ma si spera che quel momento, quello in cui vengono a bussarti alla porta, non arrivi mai». Amelia è sola e, senza più una casa, ha trovato una sistemazione provvisoria per i prossimi dieci giorni dall’ex suocera. «Volevo andare da Pisapia, in Comune» dice proprio così, «adesso spero soltanto di non finire in un dormitorio pubblico».Come centinaia di altre persone, si è messa in fila diligentemente e aspetta il suo turno fuori dagli sportelli della Cisl di Via Tadino. Sono scene di ordinaria quotidianità, nella metropoli lombarda e in decine di città italiane: si mettono in coda tante mamme straniere che chiedono notizie sulle liste d’attesa per gli alloggi popolari, giovani coppie italiane che dopo pochi anni di matrimonio non riescono più a onorare il mutuo e che magari hanno minori e anziani a carico. Non c’è solo gente disperata, ci sono molti giovani precari, anziani che senza la crisi avrebbero avuto una vecchiaia povera sì, ma dignitosa: adesso sono tutti qui, dalle 7 del mattino, per prendere il numerino e trovare assistenza allo sportello.L’emergenza sfratti, (ri)esplosa all’inizio dell’anno con la decisione del governo di chiudere la pagina lunga e polverosa delle proroghe, è il frutto di inadempienze decennali da parte della politica, a livello centrale come a quello locale: alla fine è successo che inadeguatezza e cattiva amministrazione si sono abbattute sulla casa, divenuta simbolo contemporaneamente di malagestione e illegalità. Il negoziato tra governo e Comuni, dopo la mobilitazione di inquilini e sindaci per i casi di finita locazione, ha portato giovedì alla distribuzione di altri 100 milioni per il Fondo affitti, 25 dei quali vincolati alle famiglie sotto sfratto, ma il problema sta (anche) nella ripartizione delle risorse agli enti locali, con procedure farraginose e lente che finiscono per bloccare l’erogazione dei soldi destinati ai proprietari.   Il ginepraio in cui si finisce quando i soldi per l’affitto non bastano più è enorme, basti pensare che a Milano a metà novembre almeno 240 famiglie con sfratto eseguito, in possesso di assegnazione di alloggi sulla carta, non potevano nemmeno entrare in una casa popolare pur avendone i requisiti. «Un fatto – segnalano i sindacati – che qui non accadeva da almeno 30 anni». Il paradosso è che l’offerta di alloggi pubblici sfitti, per quanto inadeguata rispetto alla domanda reale, c’è: a fine 2013 erano 9.754 le case sfitte (il 10,8% degli alloggi pubblici disponibili) a fronte di oltre 23mila famiglie in graduatoria per l’assegnazione di un’abitazione. Lo hanno spiegato i rappresentanti degli inquilini durante un’audizione alla Commissione d’inchiesta milanese sull’emergenza abitativa a Milano, sottolineando come sia stato «sottovalutato in questi anni il dramma delle famiglie che perdevano o non trovavano casa per gli affitti, troppo alti rispetto al proprio reddito». Al fenomeno dominante degli sfratti per morosità, si è poi aggiunto in queste settimane il caso di chi non ha trovato accordo con la proprietà. «La prima lettera di sfratto, papà l’ha ricevuta quasi due anni fa» racconta Antonella. Il signor Goffredo, questo il suo nome, sin dagli anni Novanta non solo ha sempre pagato quanto dovuto nei palazzi del Villaggio Barona, ma si è detto anche disponibile ad aumentare la rata bimensile da pagare per l’affitto. Niente da fare: a 81 anni si è trovato senza un tetto sotto cui vivere, con una figlia disabile a carico. «Gli hanno offerto una soluzione in housing sociale a Figino, fuori dalla realtà in cui ha sempre vissuto. Mi ha detto: io non mi muovo da qui, dovranno portarmi via con la forza». Ora, com’è accaduto ad Amelia, aspetta la prossima lettera con cui verrà annunciato l’arrivo dell’autorità giudiziaria. La signora Antonella ci ha perso il sonno e ora sta lottando per il padre anche contro la burocrazia. «Penso che manchi chiarezza da parte delle istituzioni: bisognerebbe conoscere caso per caso, evitare le generalizzazioni, entrare in punta di piedi nella storia delle famiglie che non ce la fanno. Invece non è così».
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