giovedì 7 aprile 2016

​Mozioni dopo il referendum. Le opposizioni: è dittatura Speranza: il 17 dirò sì. Il premier: astensione legittima. 
LA SCHEDA Ecco cosa è in gioco con il referendum

Sfiducia, si vota il 19. Trivelle, Pd diviso
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Le mozioni di sfiducia contro il governo al Senato sul caso-petrolio hanno una data, il 19 aprile. Due giorni dopo il referendum sulle trivelle. Troppo tardi per le opposizioni. Anzi addirittura una scelta, quella della maggioranza che si è imposta in conferenza dei capigruppo, che M5S e Lega definiscono «degna di una dittatura». Il clima è questo, da guerra fredda. E la giornata a Palazzo Madama è stata un thriller, con i deputati e i senatori pentastellati che addirittura hanno 'presidiato' la sala in cui i leader dei gruppi decidono il calendario dei lavori. E quando il presidente dem al Senato, Luigi Zanda, certifica che i nuovi voti contro l’esecutivo si terranno il martedì successivo alla consultazione pubblica sulle trivelle, scatta la solita ridda dei commenti sulle agenzie di stampa. A usare quella parola, «dittatura», è il giovane leader M5S Luigi Di Maio. Ma Lega, Forza Italia e Sel non sono meno teneri. «Ma per piacere – replica Zanda – in 20 giorni facciamo due mozioni di sfiducia e un voto di fiducia, mi pare che siamo molto sensibili alle ragioni delle opposizioni». Il punto è la data. Prima del referendum, secondo le opposizioni, le mozioni di sfiducia avrebbero esercitato una pressione diversa e avrebbero anche convinto più cittadini ad andare alle urne. Cosa che, Renzi lo ha ribadito anche ieri, il governo non vuole. «Sul referendum non abbiamo aperto nessun dialogo, non andare a votare è una posizione legittima. Lì abbiamo petrolio e gas. Che facciamo? Lo prendiamo o ce lo facciamo portare da arabi e russi con le petroliere che inquinano di più?», incalza il premier da Napoli. La sua campagna per l’astensione produce anche un ricorso al Tar dei radicali per chiedere che il referendum venga sospeso a causa delle «alterazioni» prodotte dai pro- nunciamenti del governo. Ma la convulsa giornata politica mette anche altra carne a cuocere. Sempre attraverso Luigi Di Maio, M5S annuncia di essere pronto a votare le mozioni scritte dal centrodestra. Insomma, le opposizioni rompono - per la gioia anche di Salvini - quel muro di incomunicabilità che sinora li ha fatti perseguire strategie diverse in Aula. Un dato che preoccupa Renzi non tanto per l’esito delle mozioni di sfiducia - che dovrebbero essere respinte perché la sinistra dem non ha offerto spiragli alle opposizioni - quanto per il prosieguo della legislatura. Se le opposizioni temono che Renzi arrivi al voto di sfiducia forte del non raggiungimento del quorum al referendum-trivelle, in realtà il premier guarda con crescente preoccupazione alla consultazione del 17 aprile. Anche perché ieri Roberto Speranza, sfruttando i margini di libertà concessi dal segretario- premier in direzione, ha ufficializzato che andrà a votare sì. La minoranza, o almeno pezzi di minoranza, non seguiranno l’indicazione della maggioranza dem. Se e quanto trascineranno persone alle urne, è tutto da vedere: il premier scommette di no. Tuttavia, è un dato che una bella fetta di parlamentari Pd sta facendo campagna per il «sì» sui territori. E anche un renziano doc come Roberto Giachetti, candidato sindaco a Roma, per non deludere gli elettori ambientalisti promette - volente o nolente che alle urne ci andrà, quindi contribuirà al quorum. È ormai un dato di fatto che il referendum sulle trivelle è una sorta di 'prova generale' in vista della consultazione di autunno sulle riforme costituzionali. Un modo, insomma, per contare quanti sono e dove possono arrivare i nemici del premier. Anche la minoranza avrà modo di contarsi in vista di referendum e Congresso. E alla fine il valore politico della consultazione rischia di superare la posta in gioco su energia e ambiente.
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