martedì 18 novembre 2014
Mezzo secolo d’inondazioni. E la soluzione solo dopo l’Expo. Servono lavori a monte. I Comuni non s’accordano. Ora c’è un progetto. Ma sarà pronto nel 2016.
EDITORIALE Mai più lasciar fare di Marco Tarquinio
Avvenire allagato, sito in tilt per due giorni
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​L’anno della tranquillità sarà (forse) il 2016. Dovrebbero essere pronte per quella data la vasche di laminazione, gli invasi in cui riversare l’onda di piena del Seveso evitando che inondi Milano, come avvenuto 9 (nove) volte quest’anno. I soldi del Governo, ha assicurato il sottosegretario Graziano Del Rio, ci sono e si aggiungono a quelli di Regione e Comune. I lavori, insomma, dovrebbero partire in tempi brevi. Il problema resta la data. Il 2016, appunto, l’anno dopo quello di un Expo che rischia di porre all’attenzione di tutto il mondo, una metropoli messa in ginocchio dall’esondazione di un fiume. Un avvenimento che accade, con deprimente periodicità, da oltre 50 anni. Imputato principale il Seveso, appunto, ma complice è anche il Lambro, l’altro fiume, che scorre a qualche chilometro di distanza e che fa danni con le sue acque nella zona est della città.
Ma concentriamoci sul primo e sull’alluvione che ha devastato la zona nord, causando danni gravissimi (anche alla sede di Avvenire). Un’emergenza che viene da molto lontano. È dal 1964 che il Seveso esonda in maniera più o meno rovinosa: inondazioni figlie della cementificazione selvaggia del territorio e dell’uso improprio che da anni si fa del letto del fiume.

Ma andiamo per ordine. Fino agli anni ’50 il Seveso correva fra i campi. La sua portata d’acqua era tale che in pochi lo consideravano un fiume: per i più generosi era un torrente di quelli grossi. Poi il boom economico, l’immigrazione e la conseguente fame di case ha fatto sì che le sue sponde fossero via via mangiate da gettate di cemento. Fino ad arrivare, al completo interramento alle porte della città. Nel frattempo lo stesso torrente veniva usato come canale di scarico di paesi diventati improvvisamente città. Non solo: con l’asfalto al posto dei campi, l’unico modo di fare defluire la pioggia era costruire un reticolo di fognature che convogliassero l’acqua facile indovinare dove. Con conseguente raddoppio della portata del torrente diventato all’improvviso maggiorenne. E tutto questo non poteva essere senza prezzo. E infatti, il Seveso ha iniziato a esondare allagando prima la zona di Niguarda e poi, via via anche i quartieri limitrofi. Interessando così un’area abitata da più di centomila persone.
Il primo tentativo di trovare un rimedio risale agli stessi anni ’60 con la progettazione di un canale scolmatore in grado di deviare parte delle acque ed evitare lo straripamento. La realizzazione non fu facile dovendo battere la resistenza dei paesi interessati ai lavori. Ma l’opera, una volta compiuta - siamo negli anni ’80 -  si dimostrò subito inadeguata. La sua portata è di 30 metri cubi al secondo quando ne servirebbero almeno 50. Risultato: le piene e le esondazioni sono continuate senza tregua. E senza guardare al colore delle giunte che si sono succedute a Palazzo Marino, sede del Comune di Milano. Bianchi e rossi, azzurri e verdi: tutti prima poi sono inciampati - o meglio sono caduti - in una piena del Seveso. Nell’ultimo decennio, poi, si è aggiunto un oggettivo cambio delle condizioni metereologiche. I temporali violenti e carichi di pioggia si sono rivelati la norma più che l’eccezione e l’acqua si è abbattuta su un territorio il cui consumo di suolo è cresciuto senza tregua. Il risultato è quanto accaduto sabato pomeriggio: un fiume di acqua sporca è uscito dai tombini e si è allargato sempre più fino a mandare in tilt anche i quartieri fino all’Isola e le linee della metropolitana. La nuova soluzione si chiama vasche di laminazione. Il primo progetto prevedeva la costruzione di un grande invaso nel comune di Senago. Poi, un nuovo piano presentato dalla Regione, ha portato a tre il numero dei grandi contenitori cui si se ne dovrebbero aggiungere altri due di minore portata. Facile immaginare la reazione dei comuni interessati. Proteste, sollevazioni, minacce di ricorrere al Tar. Gli amministratori milanesi e regionali hanno fatto la faccia feroce e promesso che questa volta andranno avanti. In attesa del 2016 non resta che sperare. E tenere d’occhio il Lambro...
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