sabato 21 agosto 2021
Con i soliti tempi tardivi della burocrazia il Dipartimento del Servizio civile, datata 13 agosto, ha ha bloccato le partenze di 300 ragazze e ragazzi, molti con già il biglietto in mano
Servizio civile, 19 Paesi vietati e i volontari restano nel limbo. La protesta
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Fine dei sogni. E degli aiuti. Perché in certi posti fuori confine in vacanza si può andare, nonostante il Covid, ma a svolgere il Servizio civile no. Cioè 19 Paesi, dove «gli enti interessati all’invio dei volontari sono invitati a sospendere tali partenze» e «nei casi in cui l’invio fosse già avvenuto», li si invita «a portare a conoscenza del Dipartimento il nominativo dei giovani». Amen. Questa nota del Dipartimento del Servizio civile, datata 13 agosto, ha calato il sipario. Sarebbe a dire che circa 300 ragazze e ragazzi, che avrebbero voluto (e dovuto) svolgere il Servizio civile in quei Paesi, si ritrovano in una sorta di limbo. A dirla tutta, di una lista di Paesi “vietati” si vociferava già da maggio, ma nulla era venuto fuori negli incontri che periodicamente il Dipartimento aveva con gli enti con progetti all’estero. E dopo il 30 giugno, il silenzio, con il seguente incontro (in programma per luglio) annullato. Infine quella nota del 13 agosto.

Le soluzioni alternative proposte «sono di difficile applicazione», spiegano i membri della Conferenza nazionale enti Servizio civile (Cnesc): difficile che un giovane che ha fatto domanda per il servizio all’estero, ha superato le selezioni, ha firmato il contratto di servizio civile, accetti di rinunciarvi e farlo in Italia. Come pure che un ragazzo in partenza per l’America Latina possa accettare d’andare in Africa o in Asia: «Mica sono pacchi postali». Senza contare chi aveva disdetto contratti di lavoro proprio per svolgere il servizio civile ed è rimasto a braccia conserte.

Quella nota insomma è stata «una doccia fredda» per gli enti e i ragazzi. Prendiamo Caritas italiana, che ha avviato lo scorso giugno 7 progetti in 8 Paesi esteri (Albania, Bosnia, Gibuti, Sierra Leone, Senegal, Rwanda, Etiopia e Guatemala) con 26 volontari. Avvio dei progetti programmato per maggio e rinviato d’un mese per vaccinare i giovani prima che partissero. Adesso ci sono 21 volontari che operano all’estero, in sicurezza e senza alcun problema di rilievo. L’Etiopia sarebbe un Paese vietato, cioè Caritas deve rimpatriare i 3 giovani che sono lì da quasi un mese. E sebbene i referenti locali non segnalino nulla di eccezionale.

Altro esempio, l’Associazione Papa Giovanni XXIII. Ha dovuto bloccare le partenze di 13 volontari: 4 sarebbero dovuti andare in Camerun il 26 agosto (quindi col biglietto già in mano), 9 sarebbero dovuti partire presto per il Cile (data da definirsi, visto che i collegamenti col Paese sono chiusi ed è necessario un permesso speciale). E la Papa Giovanni aveva anche 2 volontari in Kenya, già mandati via da Nairobi.

Così la Cnesc ha mandato una lettera al ministro degli Esteri Luigi Di Maio, alla sua viceministra Marina Sereni e alla ministra per le Politiche giovanili Fabiana Dadone, scrivendo che «crediamo ci siano tutte le condizioni per aprire un confronto costruttivo, tra Dipartimento, ministero degli Esteri , enti e rappresentanza dei giovani volontari per valutare tutti insieme i rischi presenti nei Paesi di realizzazione dei progetti e nello stesso tempo, adottare misure condivise idonee al contenimento dei rischi stessi».
Lettera con la quale si fa anche appello «perché ai giovani operatori del Servizio civile che si trovano già all’estero o vi si recheranno nelle prossime settimane non venga impedito, pur tra le tante difficoltà del momento presente, di vivere questa esperienza», che gli enti cercano «di realizzare ormai da vent’anni garantendo la sicurezza secondo i protocolli concordati».

I progetti di Servizio civile in corso sono stati finanziati con il bando emanato il 21 dicembre scorso dal Dipartimento per le politiche giovanili e il servizio civile universale. Cioè 55.793 posti, di cui 736 all’estero in 137 progetti. Il servizio civile dura dagli 8 ai 12 mesi, all’estero quasi sempre un anno. Per ciascun Paese dove si realizzano i progetti, gli enti devono predisporre un protocollo di sicurezza, un piano di sicurezza, nominare un responsabile della sicurezza, eventualmente un’assicurazione integrativa e mantenere contatti con le nostre ambasciate, che spesso organizzano appositi incontri con i volontari in loco.

Le associazioni: centinaia di progetti in fumo​

«Questa situazione sta danneggiando anzitutto i giovani: alcuni di loro si sono licenziati o hanno lasciato la casa in cui vivevano. Erano sicuri di poter vivere questa esperienza per un anno. Progetti in fumo!», spiega Diego Cipriani, responsabile del servizio civile di Caritas Italiana. E aggiunge: «Da vent’anni realizziamo progetti di servizio civile all’estero e la nostra prima preoccupazione è quella di garantire la sicurezza dei giovani che lo Stato ci affida. Spero che nessuno ci consideri degli irresponsabili». Va avanti Paolo Beccegato, vice direttore di Caritas Italiana: «Certamente i Paesi nei quali realizziamo i nostri progetti non sempre vivono situazioni tranquille, ma non si capisce perché in questi Paesi ci si possa liberamente recare in vacanza o per lavoro e non per svolgere servizio civile».

Quanto è stato disposto dal Dipartimento del Servizio civile «crediamo non sia una forma di tutela, ma una vera e propria ingiustizia», dice Ivana Borsotto, presidente della Focsiv: «Molti ragazzi, che hanno tutti completato il ciclo di vaccinazione, in vista della partenza, prevista nei prossimi 15 o 20 giorni, hanno rinunciato a opportunità di lavoro, a borse di studio, hanno lasciato le proprie case. Alcuni si trovano per la seconda volta in questa situazione perché già lo scorso anno avevano vissuto lo stesso smacco».

Se poi «è condivisibile la preoccupazione del Dipartimento rispetto ai rischi sanitari e alle ricadute che questi possono avere sui conflitti sociali nei territori interessati dalle progettualità – spiega Giovanni Paolo Ramonda, presidente dell’associazione Papa Giovanni XXIII –, tuttavia, le modalità e i tempi con cui questa comunicazione è avvenuta, a quasi due mesi dall’avvio per chi ha iniziato il suo servizio il 24 giugno e con motivazioni generiche, appaiono inadeguati e poco rispettosi dei giovani, che hanno investito in questa esperienza, anche rinunciando ad altre opportunità lavorative e di studio».





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