sabato 2 aprile 2016
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Politici ed esperti a confronto. Binetti: la nostra legge prova a mettere ordine ROMA Una sfida per tutti: politica, scuola, medicina, famiglia. Affrontare l’autismo, o meglio gli autismi, infatti, rappresenta probabilmente l’impegno più grande per una società. E diradare il mistero che ancora avvolge le cause scatenanti il Dsm 5 (la sindrome dello spettro autistico), uno degli obiettivi più ambiziosi della ricerca scientifica. Il punto di partenza è partire dal presupposto che «l’autismo non esiste, esistono persone autistiche con particolari specificità e grandi potenzialità», è il messaggio alla vigilia della giornata internazionale sull’autismo della deputata Ap, Paola Binetti. Così in occasione della presentazione del volume, da lei curato, Lo spettro autistico, la relatrice della prima legge nazionale sull’autismo, approvata l’estate scorsa, prova a riassumere la «norma quadro» che «serve a mettere ordine, dentro una cornice di senso», obiettivi e necessità. Non come «gesto di benevolenza», ma come «atto di giustizia» nei confronti dei bambini autistici e degli adulti; questa una categoria finora dimenticata che nella norma – ricorda la neuropsichiatra infantile all’università Lumsa – «ritrova invece il suo ruolo, considerando anche l’inserimento sociale e professionale delle persone con autismo». Il binario su cui muoversi è, da un lato, la carta dei diritti dell’Onu e, dall’altro, i livelli essenziali di assistenza in cui recentemente è stato inserito proprio questo disturbo. Nell’applicare la legge, perciò, è la conclusione della Binetti presentando i contributi interdisciplinari contenuti nel libro, «ci dovrà essere una simmetria perfetta », per arrivare ad offrire «al soggetto autistico un contesto integrato», finora al contrario «universo frammentato». Come uno specchio rotto. Ecco perché «anche in virtù del fatto che la sindrome è in forte crescita », spiega il direttore del dipartimento di Scienze umane della Libera università Maria Santissima Assunta, Gennaro Iasevoli, «occorre sempre più un approccio multidisciplinare». Con al centro la scuola, che ha «un ruolo fondamentale » come «spazio non solo di insegnamento ed inclusione, ma anche di assistenza e collaborazione con la famiglia». Appunto la didattica, che non può essere solo ridotta ai diversi metodi con cui gli autistici entrano in contatto con il mondo, come la comunicazione alternativa aumentativa – gli fa eco la collega di ateneo Nicoletta Rosati, ricercatrice di Pedagogia speciale – ma «didattica quotidiana» basata sulla relazione. Casa o scuola che sia, il ragazzo autistico quindi deve sentirsi parte integrante di una comunità. E «in classe membro di un gruppo in cui c’è scambio di esperienze in luogo d’inclusione vera», che non significa negare il deficit – per il docente di Didattica della Lusma, Italo Fiorin – ma vuol dire «accoglienza incondizionata ». Riconoscere la diversità, insomma, come stimolo anche a guardarsi dentro, a ripensare l’apprendimento. Così come la diagnosi, che non solo deve essere sempre più precoce, «visto che di strumenti predittivi ne abbiamo», dice Magda Di Rienzo dell’istituto di Ortofonologia, il centro di diagnosi romano accreditato con il Ssn. L’autismo oramai, infatti, è sempre considerato un «disturbo neuro-psico-biologico» e chi ne è affetto – aggiunge la specialista – vive un «eccesso di empatia con le stimolazioni esterne» che lo portano spesso a ritrarsi per difesa. Altro che fortezza vuota, in sostanza. Tanti luoghi comuni, perciò, vanno sfatati, insieme ai conflitti di interesse che a volte toccano teorie e terapie. Per linee guida credibili, è allora la 'ricetta' di Antonino Cartabellotta, presidente del Gruppo italiano per la medicina basata sulle evidenze (Gimbe), «gli ingredienti fondamentali restano rigore metodologico e trasparenza», per tutelare «l’integrità della scienza nell’interesse dei pazienti». Alessia Guerrieri © RIPRODUZIONE RISERVATA Convegno alla Lumsa La parlamentare Paola Binetti
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