giovedì 30 aprile 2020
Del Bono: dobbiamo conoscere lo stato di salute della popolazione, tamponi a tutti Giusta la prudenza di Conte, ora però si adotti il modello veneto. L’elaborazione del lutto? Sarà lunga
Bandiere a mezz’asta a Piazza della Loggia il 31 marzo scorso

Bandiere a mezz’asta a Piazza della Loggia il 31 marzo scorso - Ansa

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Emilio Del Bono confessa di sentirsi ancora come «una spugna. In questi due mesi di grande sofferenza, la mia funzione principale è stata quella di assorbire tanto dolore. Abbiamo dovuto praticare la pietas cristiana nei confronti di molte persone rimaste sole. E ora penso che l’elaborazione del lutto sarà lunga». A Brescia, la città che governa dal giugno 2013, non sono passati i camion dell’Esercito con le bare che hanno attraversato la vicina Bergamo in uno dei momenti simbolo della pandemia. Eppure il prezzo pagato all’emergenza è stato altissimo: quasi 2.500 decessi conclamati in città e provincia, «ma sono almeno il doppio» dice il sindaco. Che nella notte tra lunedì e martedì ha ricordato al presidente del Consiglio Conte quali sono le richieste della sua comunità, consapevole delle pressioni che arrivano dall’industria locale che chiede una ripartenza importante, ma nella massima sicurezza. «Non siamo usciti dall’emergenza – dice adesso –. Dobbiamo cercare di rispondere ancora una volta alla domanda di cura e di protezione di tante persone».

In che modo?
Noi sindaci dobbiamo conoscere lo stato diagnostico della popolazione per evitare un ritorno del contagio. Per fare questo, lo dico dall’inizio, è necessario accelerare sia sui test sierologici che sui tamponi. La mancanza di una verifica puntuale dello stato di salute della popolazione rischia di esporre tutti noi a una ripresa senza serenità. A Brescia, rispetto ai picchi di qualche settimana fa, un passo avanti si sta facendo con i controlli agli operatori delle Rsa, che prima erano di fatto esclusi.

Controlli a tappeto è stata la ricetta del governatore Zaia, in Veneto.
Non ho paura a dire che il 'modello veneto' ha funzionato e funziona ancora, perché quando è in gioco un bene come la salute le differenze politiche non contano. Servono strumenti di massa per capire come sta la gente. Le aziende del Bresciano si sono già dette disponibili a pagare i test di tasca propria, per perimetrare e delimitare le aree di rischio. Chiedono un medico competente a garanzia delle loro attività produttive. Anche noi in Comune sottoporremo a tampone 670 dipendenti. Vogliamo dare l’esempio.

Che poteri hanno avuto i sindaci nella fase d’emergenza?
I sindaci sulla carta sono considerati autorità sanitarie, ma dal punto di vista operativo possono fare ben poco. Autorizzazioni, rapporti con gli Ats, comunicazioni con i medici di base sono di stretta competenza regionale. Noi ci siamo fatti e ci facciamo portatori del punto di vista dei cittadini. Lo abbiamo fatto denunciando la fragilità della medicina di territorio e l’assenza di dispositivi di protezione e di diagnostica per il personale in prima linea.

Quando ha capito che la situazione dei contagi era fuori controllo?
Il 6-7 marzo, quando il campanello d’allarme delle nostre strutture ospedaliere è suonato in modo evidente. In provincia, ad Orzinuovi, il virus è esploso tre giorni dopo. Ora è facile dire che lì si sarebbe dovuta fare una zona rossa come a Codogno e che, ancora prima, si sarebbe dovuto probabilmente chiudere Cremona e impedire la risalita del Covid-19 nella bassa Bresciana, così come si era fatto con Lodi. Ma non è il tempo delle polemiche, anche con Regione Lombardia, con la quale pure ci siamo a lungo confrontati senza risparmiare critiche.


Emilio Del Bono è sindaco di Brescia dal 12 giugno 2013. Nel 2018, sostenuto da una coalizione di centrosinistra, è stato rieletto al primo turno sconfiggendo la candidata del centrodestra. Dal 1996 al 2008 è stato deputato nelle fila dell’Ulivo, della Margherita e dell’Unione. Come parlamentare ha seguito l’iter della legge sull’impresa sociale e il testo unico in materia di sicurezza sul lavoro, la riforma del welfare, la legge sul servizio civile volontario.

Brescia che linea ha seguito?
La scelta è stata quella dell’ospedale diffuso, attraverso la riconversione di interi reparti per il Covid-19. E poi molti posti sono stati realizzati grazie alla generosità e alle liberalità dei bresciani, che hanno risposto con grande senso di responsabilità e solidarietà al bisogno di cure per i malati. Da metà marzo a inizio aprile, abbiamo avuto oltre 7mila pazienti ricoverati. E mentre il mondo scopriva il dramma di Bergamo, a cui ci ha legato sin da subito una grande vicinanza, molti Comuni del nostro territorio mettevano le bare nelle palestre. In città invece abbiamo usato le chiese, per i defunti in attesa di sepoltura. Oggi per fortuna c’è stato un deciso alleggerimento nelle terapie intensive: siamo a un quarto rispetto a tre settimane fa.

Sulla 'fase 2' ha avuto modo di confrontarsi col premier, la sera dopo il suo discorso agli italiani che ha alimentato più confusione che chiarezza. Non crede?

Devo dire invece che capisco perfettamente la prudenza con cui si sta muovendo il capo del governo. Non è facile prendere delle scelte quando il mondo della scienza presenta determinati scenari. Il decisore politico fa bene in questi casi a regolarsi secondo un principio di massima cautela. Detto questo, resto convinto che una ripartenza a velocità diverse a seconda dei territori sarebbe auspicabile: un percorso su misura, un modello 'sartoriale', può aiutare.

Cosa la preoccupa?
Il rischio della seconda ondata è concreto. Avremo davanti due mesi di sperimentazioni in cui non potremo sbagliare nulla: noi ad esempio riapriremo una quindicina di parchi cittadini a settimana, impegnando nelle attività di controllo volontari, polizia locale, Protezione civile. I trasporti sono un grande problema di ordine pubblico e, per noi ammini-stratori, di sostenibilità finanziaria, reggendosi sul principio della densità di passeggeri che adesso viene meno. Serviranno risorse subito, altrimenti il sistema collasserà.

Perché pensa che l’elaborazione del lutto sarà lunga?
Dopo il periodo della segregazione familiare, è necessaria ancora più responsabilità. Siamo stati investiti da uno tsunami, ma ora possiamo migliorare i modelli di monitoraggio e di risposta al virus. I medici dicono 'socialità zero' e dal loro punto di vista fanno bene. Ma in società libere e democratiche, poi occorre che i politici decidano. Si rientrerà con grande lentezza, con forte diffidenza. L’impatto psicologico c’è già stato e ci sarà, inutile negarlo. Lo vedo dalle telefonate che riceviamo ai servizi di sostegno e consulenza per le famiglie, che abbiamo attivato per la cittadinanza. Riapriranno le chiese, che da noi sono mediamente grandi, per celebrare le Messe, non appena avremo messo a punto un protocollo concordato con la diocesi per il rientro. E poi stiamo pensando di continuare le esperienze estive dei Grest e dei centri estivi per i ragazzi, magari coinvolgendo personale delle scuole nella rete dell’accoglienza dei più piccoli. Le nostre vite sono già cambiate: giugno e luglio saranno mesi cruciali per capire come riusciremo a convivere con il virus.

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