venerdì 11 agosto 2017
Ma quando torna in Marocco parla e scrive male l’arabo e le dicono: «Tu sei straniera»
Senza la cittadinanza niente stage all'estero
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La ventisettenne Sara Kamiri vive in Emilia Romagna da quando aveva quattro anni. Tra le province di Ferrara e Bologna ha frequentato asilo, elementari, medie e superiori, mentre nel capoluogo si è spostata per frequentare l’università: nella città delle due Torri ha conseguito la laurea triennale in Economia e Marketing e ora frequenta la magistrale in Relazioni internazionali. Per gli intoppi burocratici previsti da una legge degna del manzoniano Azzeccagarbugli nel trovare cavilli, a Sara non sono bastati 23 anni in Italia e cinque cicli scolastici: sulla carta non ha la cittadinanza italiana (che ha chiesto ma le è stato risposto “no”). «Eppure – dice – quando vado in Marocco in vacanza, mi sento fuori luogo, parlo male l’arabo e non so scriverlo. I marocchini, giustamente, mi etichettano come straniera». Non avere la cittadinanza vuol dire essere svantaggiata rispetto ai compagni di banco «di una vita»: «Non ho potuto fare il semestre universitario all’estero – dice – o i mesi estivi di studio dell’inglese durante le superiori». Sono tutte opportunità perse che per una studentessa di Relazioni internazionali sarebbero state importanti. «Così – continua – come lo scorso mese ho dovuto rinunciare al bando per un tirocinio con il Ministero degli esteri, in quanto “straniera”». Altre volte, invece, non è il passaporto, ma un segno religioso di minoranza, il velo, a richiamare un’estraneità che in realtà, nella sua vita, non sussiste: «Appena apro bocca – scherza – molti si meravigliano del mio italiano perfetto e fluente».

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