sabato 31 agosto 2013
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Renzo Piano da tempo ha superato i ristretti ambiti disciplinati dell’architettura per assurgere a figura emblematica. Del genio italiano nel mondo, anzitutto. È noto e presente ovunque: a Parigi ha realizzato il Centro Georges Pompidou, a Osaka in Giappone l’aeroporto sul mare, l’auditorium Parco della Musica di Roma, il museo dell’Art Institute a Chicago, il Zentrum Paul  Klee di Berna, il nuovo Campus della Columbia University e il grattacielo del New York Times a New York, la Potsdamer Paltz di Berlino, a Londra The Shard (La Scheggia) il grattacielo più alto del continente... per dire solo di alcuni e sorvolando sulla lunga serie di premi e riconoscimenti ottenuti ovunque (a partire dal Pritzker Prize nel 1998).
Per la Chiesa ha progettato il nuovo santuario di San Pio a San Giovanni Rotondo e il convento e centro di accoglienza presso la cappella di Ronchamp, l’edificio-manifesto di Le Corbusier: basterebbe questo per essere considerato uno dei maggiori progettisti della storia contemporanea.
Ma, ben più che un archistar, in Piano il presidente Napolitano deve aver riconosciuto quel grado di saggezza cui sanno attingere alcuni di coloro che raggiungono i vertici nel loro campo. Per essere buoni architetti, ha detto Piano in un dialogo intrattenuto con Claudio Magris nel maggio scorso, bisogna essere «costruttori, ma anche umanisti e militanti»: perché grande è la responsabilità dell’architetto. Anche se questo non cambia il mondo, ne testimonia l’evoluzione materializzandola nelle città. E qui si entra sul terreno etico: «Sono cresciuto con l’idea del lavoro ben fatto, che richiede il giusto numero di ore, se no viene male».
Ecco che prima la qualità del manufatto, e soltanto dopo la sua bellezza o la sua appariscenza. E con questo lo sguardo si allarga oltre l’angustia del presente: «Noi nati nella guerra (nel ’37, in tempo per ricordare il secondo conflitto, ndr) siamo un po’ figli di un temporale, cresciuti durante la ricostruzione con l’idea che ogni giorno è un po’ migliore del precedente: le strade un po’ meno sconnesse, il cibo un po’ più saporito, la mamma un po’ più sorridente, il papà un po’ più allegro. Forse questo ti dà per tutta la vita un viatico di ottimismo». E ti permette di parlare di civiltà, orgoglioso di essere genovese. Proteso nel Mediterraneo che è il primo melting pot di culture: ne ha raccolte tante nella sua lunga storia e «ora le restituisce a chi ha occhi per vedere e orecchie per ascoltare» e sa sollevarsi sopra della logica dell’attimo fuggente per badare a quel che resta.
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