martedì 26 febbraio 2013
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Stallo totale. Anomalia democratica. Scenario inedito. Incubo spread. Paura greca. Paralisi politica e istituzionale. Il Colle più alto di Roma, nel più assoluto silenzio e riserbo, fa trapelare solo suggestioni e preoccupazioni sulle reazioni dei mercati e dei partner Ue. Ma nero su bianco Giorgio Napolitano non mette niente. Da oggi in poi parleranno i fatti. E i fatti lo rimettono al centro - suo malgrado - dell’intrigo che i partiti «hanno voluto creare – e questo fonti ufficiose del Quirinale lo dicono senza timori – tenendo in vita il Porcellum e sfidando il Paese, non tanto il presidente della Repubblica».Eccolo il frutto amaro della mancata riforma elettorale, ragionano al Colle. Ma non c’è da perdersi in recriminazioni. Già da oggi e per quattro giorni, nella sua visita a Berlino, Napolitano dovrà convincere Angela Merkel che una soluzione c’è, si troverà, come accaduto a novembre 2011. Certo, ma quale? I giuristi mettono in guardia: la situazione è ai limiti del tragico, il 14 marzo si potrebbe non eleggere il presidente del Senato. A quel punto, in assenza di un accordo globale tra i partiti, anche il Quirinale dovrebbe dimettersi con due mesi di anticipo sulla scadenza naturale per consentire al nuovo presidente di sciogliere le Camere. Danni su danni. E allora? Allora si tratta di mettere i partiti di fronte ai dati di fatto: il centrosinistra a tarda sera è in vantaggio di un soffio alla Camera, il centrodestra ha bloccato il Senato, e non ci sono in giro voti per fare una maggioranza. Devono dialogare, per forza o per ragione. E il presidente della Repubblica, prima di partire per la Germania, ha voluto sentire uno ad uno tutti i maggiori leader per farsi dare la «massima disponibilità ad agire per il bene comune». Cosa ciò significhi, è difficile dirlo ora. Specie adesso che Monti non è più un tecnico superpartes. Ma la nuvola della Grande Coalizione, tecnica o politica che sia, è già in volo sopra il Palazzo. Il pallino è tornato ad Arcore. Berlusconi parla di «miracolo» del Pdl, ma non nasconde preoccupazione per uno scenario che nessuno si attendeva e per il quale nessuno ha al momento soluzioni. «No, un governo di larghe intese non c’è, non esiste, non lo vedo. Gli elettori non capirebbero, Grillo rischierebbe di prendere il volo...». Ma - allo stesso tempo - capisce che sarebbe un boomerang il ritorno alle urne. L’ex premier ragiona: «La prossima volta ce lo troviamo davvero al 40 per cento». Sono riflessioni che diventano mature quando è già buio e il quadro è vago. Ma i numeri nelle regioni-chiave sono sufficienti per mettere in cassaforte una certezza: al Senato senza di lui non c’è maggioranza. Per qualsiasi soluzione serve un suo via libera. «Bersani è il vero sconfitto. Era convinto di vincere e ha pagato l’arroganza. Ora provi a pensare al Paese». Chi siede davanti all’ex premier lo guarda per capire. Berlusconi se ne rende conto e va avanti: «Ho gridato con tutte le forze "elezione diretta del capo dello Stato"... Se mi avessero dato retta gli italiani avrebbero scelto tra Pdl e Pd. E invece oggi c’è un Paese diviso in tre tronconi, ma solo due hanno una cultura di governo, il terzo è antipolitica. E poi c’è questa ingovernabilità che non fa presagire nulla di buono». Berlusconi arriva infine al punto: «Noi e il Pd possiamo chiudere un accordo per una riforma costituzionale seria e mettere al primo punto l’elezione diretta del presidente della Repubblica». Un accordo a due che prevede un intervento condiviso anche su giustizia, bicameralismo, legge elettorale. E 4-5 interventi di rilancio dell’economia. Un restyling che magari potrebbe mettere in fuorigioco Grillo.
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