sabato 30 novembre 2013
​A Bergamo un “processo” a tablet ed e-book. Le classi 2.0 rappresentano una grande opportunità, perché consentono di lavorare in gruppo producendo in proprio i contenuti delle lezioni, ma sono frenate «dall’impostazione ottocentesca della scuola». E i ragazzi «perdono entusiasmo».
Scuola dei "nuovi italiani", occasione da non sprecare
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​Doveva essere il processo alla scuola digitale ma sul banco degli imputati è finita l’istituzione scolastica nel suo complesso. Alla fine non è stata emessa nessuna sentenza di condanna, ma nemmeno sono stati fatti sconti ai tanti problemi che rallentano la diffusione delle nuove tecnologie (tablet ed e-book) e della didattica digitale.La seconda edizione di Tablet school, evento promosso dall’associazione Impara digitale, ha riunito, ieri al Seminario vescovile di Bergamo, più di cinquecento tra ragazzi e professori, divisi tra i “pro” e i “contro” la scuola 2.0. Sul palco e in platea, esperti e formatori hanno risposto alle tantissime domande degli studenti, che hanno molto insistito sulle carenze, soprattutto infrastrutturali, che caratterizzano le scuole italiane. Stando ai risultati di una ricerca effettuata dal sito skuola.net su dati del Miur, soltanto il 9,3% delle scuole è totalmente coperto da connettività Internet wi-fi e quasi il 40% degli studenti non ha mai messo piede nell’aula computer. Anche chi è dotato di tablet lamenta la «scarsa copertura delle rete» che impedisce di lavorare, oltre a problemi apparentemente più banali ma ugualmente fastidiosi, come la «mancanza di un numero sufficiente di prese di corrente in classe per ricaricare i dispositivi».

Sul fronte della didattica, vero “focus” dell’innovazione tecnologica che sta interessando la scuola, i due schieramenti si sono concentrati sui difetti ma anche sulle «grandi opportunità» che l’utilizzo del tablet consente. Su tutte, hanno sottolineato gli studenti, la possibilità di «costruire insieme» i contenuti delle lezioni, condividendo in tempo reale i materiali con compagni e professori. La possibilità di lavorare in gruppo, di sentirsi davvero «responsabili» e «protagonisti» della lezione è stata molto enfatizzata dagli “avvocati difensori” della scuola digitale. La “pubblica accusa” ha, di contro, puntato il dito verso la «scarsa preparazione dei docenti», che in molti casi, a detta dei ragazzi, hanno dimostrato di non avere ancora pienamente compreso la rivoluzione che deve coinvolgere la didattica. Un cambiamento dal basso che sta faticosamente cercando di contagiare tutti gli attori del sistema. Una scommessa da vincere per non disperdere le risorse messe in campo dal Miur con la legge “L’istruzione riparte”: 15 milioni per la connettività wireless e altri 8 milioni per l’acquisto di e-book.

«La scuola deve adeguarsi in fretta, altrimenti c’è il rischio che gli studenti perdano entusiasmo», ha ammonito Dianora Bardi, vicepresidente di Impara digitale e tra i docenti pionieri, in Italia, della didattica digitale. Il processo non sarà né breve né facile, ha ricordato Roberto Maragliano, professore di Tecnologie dell’istruzione e dell’apprendimento all’Università Roma Tre. «L’impostazione della nostra scuola – ha sottolineato – è ancora quella di due secoli fa ed è questo l’aspetto più drammatico della questione. Quella italiana è ancora sostanzialmente una scuola di scrittura, che va completamente ripensata nei contenuti e nella didattica. Ma la strada è segnata e l’unica direzione da prendere è quella di una vera formazione dei docenti».

Se, allora, «il tempo delle obiezioni è finito» e ormai «il digitale ha vinto», come sostiene Maragliano, è necessario risolvere in fretta i problemi segnalati dagli studenti. Tra «App che non si aprono» e «tablet su cui è difficile studiare», l’impressione è che il cammino sia tracciato ma ancora disseminato di ostacoli. Alcuni messi dalla stessa politica. Come, hanno per esempio ricordato gli editori, «l’Iva al 22% sugli e-book, contro quella al 4% sui libri di carta», che si trasforma in un aggravio di costi per le famiglie. E, soprattutto in tempi di crisi, non favorisce la diffusione del libro digitale nelle scuole.

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