domenica 17 gennaio 2010
Stranieri in classe, laboratorio per l’integrazione. Sono più di seicentomila gli alunni di diversa cittadinanza, più di un terzo nati nel nostro Paese. Una presenza che è insieme sfida e opportunità. Per costruire una nuova convivenza.
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Quando dieci anni fa si trovò davanti la "sua" prima elementare ad Aida Salanti ebbe un piccolo brivido: su 22 alunni 12 erano stranieri, 8 dei quali arrivati da poco in Italia. Ma, insieme alla sua collega contitolare della classe, decise di affrontare la sfida. «Pensai che dovevo guardare tutti loro nello stesso modo in cui, da mamma, mi sarebbe piaciuto che venissero guardati i miei figli». Oggi una parte di loro frequenta le superiori e lei è alla conclusione di un secondo ciclo delle elementari. «Nella mia attuale classe quinta ci sono 8 studenti non italiani su 18», cioè il 44%, ben al di sopra del fatidico tetto del 30% indicato dalla circolare del ministro Mariastella Gelmini per il prossimo anno scolastico. Un provvedimento legato al costante aumento della presenza di studenti stranieri nella nostra scuola, che oggi sono oltre 600mila, il 7% degli iscritti. E che nella scuola trovano un importante laboratorio di integrazione, come sottolinea anche il messaggio per la Giornata mondiale del migrante che la Chiesa italiana celebra oggi (vedere box in alto). «Una limitazione del numero e una miglior distribuzione tra le scuole sono un passaggio importante e positivo – commenta la docente del IV circolo didattico di Cremona –, anche se rifiuto la definizione di classi-ghetto per quelle che hanno una maggioranza di studenti stranieri. Nessun ghetto, ma luogo educativo, anche se con maggiori difficoltà, ma pur sempre un ambiente in cui è possibile creare un rapporto educativo con gli alunni». Una precisazione a cui Aida Salanti tiene molto, anche alla luce dell’esperienza decennale e delle strategie messe in campo in questi anni per affrontare il problema. «L’aspetto più critico è l’arrivo in corso d’anno, perché spesso sono alunni che non parlano l’italiano. In questo caso nel primo mese cerchiamo di fornire loro un corso intensivo di lingua». Un passaggio quanto mai significativo, aggiunge Anna Previtali, docente nella elementare "Guicciardi" di Milano, istituto con il 42% di studenti stranieri iscritti, anche se nella sua classe si sfiora di poco il 50% con 10 su 21. «Facciamo un test per verificarne la conoscenza della lingua e cerchiamo di aiutarli nell’apprendimento. In passato avevamo un facilitatore linguistico per la prima alfabetizzazione, ma non sempre riusciamo a garantire la presenza di questa figura professionale». Un lavoro che prosegue anche con l’inserimento nella classe, perché «abbiamo elaborato testi facilitati per le materie di studio e svolgiamo gruppi di recupero e potenziamento dell’italiano».Ma dietro la parola "straniero" stanno situazioni e storie molto diverse, come riconosce lo stesso ministero escludendo dal conteggio per il tetto i nati nel nostro Paese, che rappresentano più di un terzo del totale. Una scelta condivisa dalle due docenti, anche se «non sempre è una garanzia di conoscenza della lingua». Qui gioca molto il ruolo della famiglia. «Nella mia esperienza – racconta Aida Salanti – ho avuto bambini nati in Italia che non conoscevano la nostra lingua perché cresciuti in una famiglia ’impermeabile’. Capita più facilmente con i cinesi e gli arabi, dove le mamme parlano solo l’idioma d’origine. Anche per questo abbiamo promosso un corso riservato alle donne, che ha generato un netto miglioramento dei rapporti con la scuola». Anche alla Guicciardi di Milano si è cercato di venire incontro alle famiglie straniere. «Da qualche anno le pagelle sono tradotte anche in cinese e in arabo – racconta Anna Previtali – e le famiglie hanno gradito questa attenzione», anche se l’obiettivo resta l’integrazione. Dei bambini e delle famiglie.
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