venerdì 13 settembre 2013
Se in Italia ci sono 137mila aziende che non trovano personale qualificato, come ha denunciato il sottosegretario all’Istruzione Toccafondi, la colpa è della distanza che ancora esiste tra scuola e mondo del lavoro Un divario che potrebbe essere colmato dagli Istituti tecnici superiori e dalle reti di scuole, imprese ed enti locali.
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L’allarme l’aveva lanciato l’altro giorno e ieri ha indicato una possibile soluzione del problema. «Quando la scuola dialoga sistematicamente con l’impresa i risultati si vedono», ha sottolineato il sottosegretario all’Istruzione, Gabriele Toccafondi, incontrando allievi e insegnanti dell’Accademia italiana della Marina mercantile di Genova, «un fiore all’occhiello degli istituti tecnici superiori». Da queste scuole speciali di tecnologia, costituite da Fondazioni promosse da istituti tecnici, imprese, università, centri di formazione professionale ed enti locali, dovranno uscire le risorse umane e professionali che le imprese cercano, spesso senza successo. «In Italia ci sono 137mila aziende che ricercano ma non trovano figure professionali qualificate», è l’allarme di Toccafondi, che ha ricordato come il Miur abbia investito 49 milioni di euro per l’avvio di 62 Its e abbia previsto di impiegarne altri 13 all’anno per il loro consolidamento. «Certo – ha proseguito – sarebbe bello poter contare su più risorse per gli Its, ma il ministero fa comunque la sua parte. Ci crede tanto da volerli valutare perché la scuola ha bisogno di valutazione e merito. Per questo ci aspettiamo dal monitoraggio informazioni utili a indirizzare gli investimenti dove si ottengono risultati efficaci». Tra le “buone pratiche” ci sono anche le esperienze che presentiamo in questa pagina. La sfida è ora quella di “contaminare” l’intero sistema scolastico che, ha ribadito anche ieri il ministro dell’Istruzione, Maria Chiara Carrozza, dovrà formare le «persone che ci porteranno fuori dalla crisi». A questo obiettivo punta anche il decreto approvato lunedì dal Consiglio dei ministri, che ha previsto sulla scuola investimenti per 400 milioni. «Peccato, però – osserva il presidente nazionale dell’associazione dei presidi Disal, Roberto Pellegatta – che, in quel decreto, il mondo del lavoro sia il grande assente». Insomma, la partita è ancora tutta da giocare.CON I ROBOT, STUDENTI ITALIANI ALLA CONQUISTA DELLO SPAZIOPotrebbe parlare italiano il software che muoverà i robot della stazione spaziale orbitante della Nasa. La sfida è ancora completamente aperta ma, anche alla luce degli immediati precedenti, ci sono buone possibilità che a vincerla sia un team di studenti italiani. La “partita” è organizzata dal Massachusetts Institute of Technology (Mit) di Boston, la migliore università del mondo, secondo Quacquarelli Symonds (QS), con la Nasa e l’Agenzia spaziale europea. Il contesto è quello di Zero Robotics, rassegna che ogni anno vede sfidarsi squadre composte dai migliori studenti degli istituti tecnici, professionali e Licei scientifici del pianeta. Per il momento sono iscritti 49 team europei e 74 degli Stati Uniti. Le scuole italiane che hanno preso parte alla selezione, in vista delle finali previste nel gennaio 2014 in Olanda, sono state 86. Tra queste saranno scelte le 25 che parteciperanno alla fase finale. La particolarità che lega tutte queste scuole è il fatto di aver sottoscritto il protocollo nazionale “Rete della robotica a scuola”, a cui aderiscono circa trecento istituti. Il progetto nasce in Piemonte, dove la rete coinvolge 18 scuole e 86 aziende della meccanica e della robotica e ha come capofila l’Istituto di istruzione superiore “Galilei-Ferrari” di Torino. In Piemonte le aziende della robotica sono 250 con 12mila addetti (il 44% del totale nazionale) e un fatturato di 2,5 miliardi di euro (pari al 54% del totale nazionale). In questo contesto senz’altro fecondo, ha preso forma la rete delle scuole che adesso vogliono conquistare il mondo.«Due anni fa – ricorda il professor Enzo Marvaso, coordinatore della Rete della robotica a scuola, finanziata con 600mila euro dalla Camera di commercio e dall’Unione industriale di Torino – le nostre scuole si sono piazzate ai primi tre posti di Zero Robotics. Nel 2012 i nostri team si sono piazzati al secondo e quarto posto e quest’anno puntiamo al gradino più alto del podio. Se dovessimo farcela e ne abbiamo tutte le possibilità, da gennaio il nostro amico Luca Parmitano (l’astronauta italiano attualmente presente sulla stazione spaziale orbitante ndr.), potrà lavorare con i nostri software per manovrare le “sphere”, i robottini di bordo».Ciascun team partecipante è composto da 10-15 studenti di classi diverse e di differenti specializzazioni, proprio per mettere in comune e condividere esperienze e conoscenze. Nella fase finale la squadra diventa addirittura internazionale, con partecipanti di almeno tre differenti Paesi. «È un vero lavoro di squadra e di interscambio di competenze», sottolinea Marvaso, ricordando che, «per la prima volta in Italia», le scuole della rete hanno inserito moduli di robotica nei curriculum scolastici introducendo, altra novità assoluta, la certificazione delle competenze degli studenti. In questo modo, le aziende del territorio sanno esattamente che cosa sono capaci di fare. E i risultati si vedono.«Il 40% dei nostri studenti – dice Marvaso – trova lavoro prima di conseguire il diploma, grazie agli stage in azienda. Il 35% prosegue all’Università, mentre il resto è occupato al massimo entro tre mesi dal diploma».Proprio ieri, la Rete della robotica a scuola ha firmato un protocollo d’intesa con 2A, azienda leader mondiale dello stampaggio, che nello stabilimento di Santena (Torino), per tre anni ospiterà 15 ragazzi di tre scuole per attività di stage della durata di sette settimane all’anno e un totale di mille ore nell’arco del triennio. Al termine tutti saranno assunti.«È questa la scuola che vogliamo e in cui crediamo», conclude Marvaso. Un modello che il Miur ha deciso di presentare, come migliore buona pratica d’Italia, in occasione di Job&Orienta, in programma a novembre a Verona.
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