venerdì 14 gennaio 2011
Ricerca dell’Isfol su Finlandia, Francia e Regno Unito. Paesi di punta che sostengono istituti non statali e famiglie. Fondamentale il rapporto tra istituti, territorio e comunità di riferimento, con una nuova ed essenziale funzione promotrice svolta dai genitori degli studenti.
COMMENTA E CONDIVIDI
Se la scuola è libera i risultati sono migliori per tutti. Per scoprirlo è talvolta necessario aprire le finestre e osservare ciò che avviene oltre il giardino di casa. È questo il senso dell’ultimo lavoro di Giacomo Zagardo, ricercatore dell’Isfol (l’Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori), che ha da poco dato alle stampe “La punta di diamante”. Il libro, spiega l’autore, è una riflessione qualitativa sulla configurazione dei sistemi migliori in Europa (Finlandia, Francia e Regno Unito), quelli in grado di raggiungere i risultati più lusinghieri in termini di apprendimento e di crescita personale. Risultati, ribaditi anche dalla recente classifica Ocse-Pisa in in cui questi tre stati occupano le posizioni di vertice, precedendo l’Italia. La ricerca ha anche lo «scopo di evidenziare i nodi, i criteri e gli elementi che possono essere utili a una riflessione sulla situazione educativa in Italia».Dall’analisi dei sistemi scolastici dei tre Paesi europei considerati emergono caratteristiche comuni quali l’autonomia delle scuole, con il superamento del monopolio pubblico in campo educativo e la partecipazione attiva delle organizzazioni sociali nella gestione delle scuole, secondo il principio della sussidiarietà “orizzontale”. Elementi che, invece, fanno ancora molta fatica a farsi strada nel nostro Paese dove, ricorda Zagardo, a torto ancora si pensa che «le scuole pubbliche della società civile sottraggano fondi alle pubbliche governative». Così non è, come ha anche recentemente dimostrato, dati alla mano, uno studio dell’Università di Genova, che ha messo in discussione «la convinzione comune (solo in Italia) che per finanziare il diritto dei genitori bisogna sottrarre risorse alla scuola statale».«Usare la scuola (così com’è) come ammortizzatore sociale – osserva Zagardo – sarebbe come se si costruisse il tetto prendendo materiali dalle fondamenta. Un Robin Hood che dà ai poveri prendendo dai poveri: ad essere danneggiati non sono i genitori che già possono permettersi una retta ma quelli meno abbienti».Un paradosso che, ricorda il ricercatore dell’Isfol, aveva capito Blair nel 2005, anno di pubblicazione del Libro bianco sull’istruzione. Lo stesso aveva fatto la socialdemocrazia in Svezia che non ha abolito le “Friskolan” (scuole libere) sponsorizzate dal precedente governo e il Partito Democratico negli Stati Uniti che ha raddoppiato addirittura i fondi alle scuole non-profit.«Invece – ribadisce Zagardo – in Italia quasi il 20% dei genitori che iscrive il figlio alla scuola statale afferma di aver scartato la paritaria solo per motivi economici».Questo non avviene nei Paesi dove le famiglie che scelgono le scuole non statali sono sostenute dai governi con sgravi fiscali e servizi specifici di accompagnamento per gli studenti che ne manifestano la necessità. Il tutto, senza portare al collasso le casse della scuola statale, come, anche in questo caso erroneamente, ancora si crede da noi. Per usare l’efficace immagine coniata da Zagardo: la rottura della diga non è avvenuta, ma si sono irrigati i campi.«In Finlandia – ricorda l’esperto dell’Isfol – le iscrizioni alle primarie e secondarie non governative crescono di un terzo dal 2000 attestandosi al 7%. In Svezia, le scuole non governative (ora ufficialmente riconosciute come “Government-dependent”) sono passate in 14 anni da uno scarso 1% al 9,3% sul totale delle istituzioni scolastiche (10,6% sul totale degli studenti) senza, peraltro, segnare la fine della scuola statale. Anzi, il fatto che le scuole non governative siano parte attiva di un unico sistema scolastico ha assicurato un dinamismo tra scuole che concorre al successo dell’impianto educativo nel suo complesso. Il minor impegno dello Stato ha potuto concentrare le risorse dove c’era bisogno».Nessuna distribuzione di fondi “a pioggia”, dunque, che, come dimostra ancora il caso italiano, non migliora i risultati degli studenti e non rappresenta un incentivo per gli insegnanti.I progetti con un “ethos” educativo, osserva Zagardo, condiviso da genitori, docenti e studenti si dimostrano particolarmente utili a raggiungere i risultati migliori e più alti. «Nell’esperienza scolastica anglosassone e scandinava – conclude Zagardo – tutto ciò ha un significato preciso: si riferisce a come l’istituto s’interfaccia con la comunità che serve e all’azione di una scuola fortemente integrata nel territorio. In tutto questo i genitori hanno una funzione promotrice essenziale».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: