martedì 5 maggio 2015
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No al preside-manager, più chiarezza sulla valutazione dei docenti, quadro più organico nel riordino della scuola. Il mondo della scuola sceso oggi in piazza ribadisce punto per punto gli aspetti della buona scuola che non piacciono. Lo ha fatto con lo sciopero dopo averlo espresso nella consultazione on line promossa dal governo tra settembre e novembre dello scorso anno e nelle audizioni presso le commissioni Cultura congiunte di Camera e Senato. E torna a farlo ora proprio mentre in commissione alla Camera dei Deputati si sta discutendo il testo del provvedimento. Un gesto forte per cercare, secondo i promotori dello sciopero (che ha visto dopo molti anni l’adesione dei confederali e di molte sigle autonome), di “fermare questo progetto”. Paura del cambiamento? Probabilmente anche questo. Ma la gran parte di coloro che sono scesi in piazza chiedono che il riordino del sistema avvenga con meno deleghe al governo e più confronto parlamentare. Il governo disponibile ad aprire una via di dialogo, ma salvaguardando i tempi previsti: approvazione del disegno di legge entro l’estate per poter partire (soprattutto con le 100mila assunzioni) nel settembre 2015 con il nuovo anno scolastico. Qualche apertura nel corso del dibattito in commissione è stata annunciata, ma siamo ancora ai passi preliminari e gli articoli più “delicati” devono essere ancora affrontati. Per ora il confronto prosegue, certo con il fiato sul collo dei tempi. Su questo punto il governo e il ministero dell’Istruzione non si muovono di un millimetro. Tattica politica o convinzione che critiche e perplessità possano essere superate in tempi brevi? Sicuramente il governo ha ben presente il fatto che la Corte europea ha condannato l’Italia a risanare la questione dei precari con oltre 36 mesi di contratti a tempo determinato e che molti precari potrebbero impugnare questa sentenza davanti ai pretori del lavoro. Qualche causa è già stata vinta. Se i ricorsi si moltiplicassero i 100mila posti previsti dalla buona scuola diventerebbero largamente insufficienti. ​
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