giovedì 15 maggio 2014
Napolitano: Berlusconi lasciò liberamente. Il leader di Forza Italia: disgustato, quattro colpi di Stato.
Polemiche retrospettive, nodi veri di Sergio Soave
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«Mai saputo di pressioni internazio­nali». Le dimissioni di Silvio Berlu­sconi nel novembre 2011 furono date «liberamente e responsabilmente» per que­stioni di politica nazionale. Il Quirinale rompe il silenzio e decide di interviene mentre divampa il caso Geithner, l’ex ministro del Tesoro ameri­cano che parla nel suo memoriale di un 'com­plotto' che sarebbe stato ordito dalle principali cancellerie europee ai danni dell’allora premier che tentarono - senza successo - di coinvolgere l’Amministrazione americana nell’operazione. Operazione della quale Berlusconi si dichiara «disgustato». Un «colpo di Stato» di cui si sente vittima, lamentando che le «le alte cariche re­stano in silenzio». Così in mattinata il leader di Forza Italia. Che poi in serata a una manifestazione con Antonio Taja­ni a Roma si dice «furioso» ne conta addirittura «quattro» di colpi di Stato subiti. «Merkel e  Sarkozy convocarono una riunione - ricorda ­per far sì che il nostro Paese fosse colonizzato». E attacca anche il metodo con cui «quattro se­gretari di partito, di notte» si mettono d’accordo per eleggere il presidente della Repubblica. Un fiume in piena, Berlu­sconi  - a quell’ora la nota del Quirinale che si tira fuori dal 'com­plotto' è già uscita - ma a un certo punto si fre­na. Perché, dice, non può «attaccare la magi­stratura e nemmeno il Capo dello Stato» altri­menti - sottolinea, rife­rendosi  alle motivazione con cui gli sono stati vietati comizi fuori da Roma e dalla Lombardia - il rischio è quello di «dover andare ai domici­liari o di finire nel carcere di San Vittore». Nel pomeriggio era intervenuto il Colle: «Le di­missioni  liberamente e responsabilmente rasse­gnate il 12 novembre 2011 dal presidente Berlu­sconi,  e già preannunciate l’8 novembre, non vennero motivate se non in riferimento, in en­trambe le circostanze, a eventi politico-parla­mentari italiani», assicura Napolitano. Nessuna partecipazione del Quirinale, in ogni caso, a quel clima di sfi­ducia a livello interna­zionale. Il presidente della Repubblica, anzi, ricorda che già dopo il Consiglio europeo di ottobre ebbe modo di «stigmatizzare» le «sgradevoli espressioni pubbliche» di leader europei sulla «scarsa fi­ducia negli impegni assunti dall’Italia». Il riferi­mento è al famoso sorrisino ironico in confe­renza stampa del presidente francese Nicolas Sarkozy e del cancelliere tedesco Angela Merkel in risposta muta - con un cenno d’intesa - a una domanda sull’attendibilità degli impegni assunti  dall’Italia. Napolitano rimanda alla ricostruzione che fornì nel tradizionale discorso di auguri alle alte cari­che del 20 dicembre di quell’anno. Quando parlò di una «sostenibilità internazionale dello stato di cose giunta a un punto limite». Ma, disse in quella cerimonia di Natale, alla fine fu Berlusco­ni, «prendendo atto di una situazione così criti­ca, dopo l’esito negativo di una votazione signi­ficativa in Parlamento, con senso di responsabi-­lità, a rassegnare le dimissioni». Poi la nascita del governo Monti, «preciso dovere istituzionale», lo definì, «a evitare ricadute dirompenti» e un «ca­tastrofico aggravarsi della crisi finanziaria». Sugli episodi citati da Geithner, invece, che am­bienta le pressioni europee su Obama nel G 20 dell’autunno 2011 Napolitano taglia corto in quanto «nulla» sa di «pressioni e coartazioni su­bite dal presidente del Consiglio» in quanto non al corrente. Perché si tratta di «consessi europei e internazionali cui il Presidente della Repubbli­ca italiana non aveva titolo a partecipare, e non partecipò».

 

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