mercoledì 11 novembre 2015
​La procura di Roma conferma l'indagine sul presidente della Campania: sarebbe stato minacciato di una sentenza sfavorevole in cambio di una nomina nella sanità. Indagato il giudice Anna Scognamiglio.
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«Sono la parte lesa. Sostengo il lavoro dei magistrati». Il governatore campano Vincenzo De Luca non si arrende, non si scompone e passa al contrattacco. Convoca la stampa appena la notizia trapelata l’altra sera della sua iscrizione nel registro degli indagati per concussione, con altre 6 persone, diventa ufficiale. E non delude le attese con battute da par suo che stridono profondamente col clima drammatico che torna ad aleggiare su Palazzo Santa Lucia, dopo che la telenovela del suo insediamento messo a rischio dalla legge Severino sembrava archiviata. Sembrava. Perché la nuova inchiesta condotta dalla Procura di Roma riguarda proprio, di nuovo, la sospensione da governatore, a sua volta sospesa per l’accoglimento del suo ricorso. Secondo i pm De Luca sarebbe stato minacciato da alcuni indagati di una decisione del tribunale civile di Napoli a lui sfavorevole se non avesse provveduto, è stato scritto nel capo di imputazione, ad una nomina nella sanità campana. Su questa ipotesi si muove l’inchiesta della procura di Roma. Sono 7, in tutto, gli indagati. Con il governatore sono iscritti, tra gli altri, con l’accusa di concussione per induzione, il giudice Anna Scognamiglio e il suo consorte Gugliemo Manna, l’ex capo segreteria di De Luca, Carmelo Mastursi. Tutti, tranne il governatore, sono stati perquisiti il 19 ottobre. Cruciale - nell’ipotesi accusatoria - la figura del giudice Scognamiglio, relatrice nell’ordinanza che, a luglio 2015, congelò la sospensione disposta per il governatore. Lei si difende dicendosi all’oscuro di tutto e prende le distanze dal marito, dirigente di una Asl: «Non conosco assolutamente né de Luca, né Mastursi, né gli altri indagati con i quali non ho mai avuto contatti di alcun genere, né, quindi, ho loro mai chiesto, né potuto chiedere, alcun favore». Per di più la convivenza con il marito, sostiene ancora il giudice indagato, ormai «era solo formale».ono la parte lesa. Sostengo il lavoro dei magistrati». Il governatore campano Vincenzo De Luca non si arrende, non si scompone e passa al contrattacco. Convoca la stampa appena la notizia trapelata l’altra sera della sua iscrizione nel registro degli indagati per concussione, con altre 6 persone, diventa ufficiale. E non delude le attese con battute da par suo che stridono profondamente col clima drammatico che torna ad aleggiare su Palazzo Santa Lucia, dopo che la telenovela del suo insediamento messo a rischio dalla legge Severino sembrava archiviata. Sembrava. Perché la nuova inchiesta condotta dalla Procura di Roma riguarda proprio, di nuovo, la sospensione da governatore, a sua volta sospesa per l’accoglimento del suo ricorso. Secondo i pm De Luca sarebbe stato minacciato da alcuni indagati di una decisione del tribunale civile di Napoli a lui sfavorevole se non avesse provveduto, è stato scritto nel capo di imputazione, ad una nomina nella sanità campana. Su questa ipotesi si muove l’inchiesta della procura di Roma. Sono 7, in tutto, gli indagati. Con il governatore sono iscritti, tra gli altri, con l’accusa di concussione per induzione, il giudice Anna Scognamiglio e il suo consorte Gugliemo Manna, l’ex capo segreteria di De Luca, Carmelo Mastursi. Tutti, tranne il governatore, sono stati perquisiti il 19 ottobre. Cruciale - nell’ipotesi accusatoria - la figura del giudice Scognamiglio, relatrice nell’ordinanza che, a luglio 2015, congelò la sospensione disposta per il governatore. Lei si difende dicendosi all’oscuro di tutto e prende le distanze dal marito, dirigente di una Asl: «Non conosco assolutamente né de Luca, né Mastursi, né gli altri indagati con i quali non ho mai avuto contatti di alcun genere, né, quindi, ho loro mai chiesto, né potuto chiedere, alcun favore». Per di più la convivenza con il marito, sostiene ancora il giudice indagato, ormai «era solo formale».Un quadro inquietante ma ancor confuso, un mosaico al quale mancano ancora molte tessere: i pm Orano e Fasanelli sono ancora al lavoro per vagliare tutto il materiale acquisito il 19 ottobre nelle perquisizioni. Ma allo stato non c’è traccia nell’ipotesi accusatoria dell’elargizione della presunta ricompensa per Manna consistente in una nomina nella sanità campana in cambio della sentenza favorevole che vedeva sua moglie come relatrice. In ogni caso, precisa il procuratore Giuseppe Pignatone, «la sentenza del tribunale di Napoli sul caso De Luca non è oggetto di esame da parte della Procura di Roma».Sono gli elementi cui si aggrappa, De Luca, per ostentare sicurezza: nessuna nomina è stata fatta a seguito delle presunte minacce, e la sentenza che lo "riabilita" non viene messa in discussione. Eccolo allora, il governatore, fare sfoggio di battute con la stampa («Sentivo l’acuta nostalgia di ritrovarvi per qualche minuto di meditazione mattutina») regalando prezioso materiale ai suoi imitatori: «Credo di aver dato ai giornalisti italiani più lavoro di Murdoch, mi aspetto di essere nominato cavaliere del lavoro». E ancora: «Sto facendo training autogeno. Eraclito ricorda che il carattere è il demone dell’uomo e quindi bisogna mantenersi», dice invocando poi «ragioni di evidente opportunità» che lo inducono a non aggiungere altro. E con un’ulteriore battuta conferma che non ha alcuna voglia di mollare, annunciando l’approvazione, lunedì, in Consiglio regionale, della legge sul ciclo delle acque: «Sarete testimoni di un passaggio storico. Verrà cancellato un altro luogo comune di Napoli, e cioè che "l’acqua è poca e la papera non galleggia". Da martedì galleggeranno tutte le papere e anche qualche somaro». Scherza anche sui nomi degli indagati: «Manna? Conosco quella che viene dal cielo...». Quanto all’inchiesta, «sostengo pienamente l’azione della magistratura e la invito ad andare avanti», dice ancora De Luca. «Sono parte lesa. Io e l’istituzione che rappresento. Non sono a conoscenza di nulla. Da Napoli - conclude - lanciamo la sfida della trasparenza, della correttezza e del rigore. Noi e il partito in cui milito non arretreremo di un passo». Amici e nemici sono avvertiti.
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