mercoledì 29 aprile 2020
Il Comitato tecnico scientifico che indirizza il governo: 'Liberi tutti' adesso ed entro un paio di mesi servirebbero 151mila posti nelle terapie intensive e 431mila negli ospedali
Consegna di un pacco in piazza Duomo a Milano

Consegna di un pacco in piazza Duomo a Milano - Fotogramma

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Scenari anche da tregenda. Nella peggiore delle ipotesi, con tutto riaperto e liberi tutti adesso, potrebbero occorrere 151mila posti nelle terapie intensive a giugno (oltre sedici volte quelli attualmente disponibili, circa 9mila) e 431mila persone potrebbero ritrovarsi ricoverate tra otto mesi, senza nemmeno contare i morti. Parola del “Comitato tecnico scientifico” (spesso citato dal premier, Giuseppe Conte, come il maggiore supporto alle scelte governative, specie nell'ultimo Dpcm), che in un report ha ipotizzato una serie di scenari differenziati secondo tutto il differenziabile, dalle riaperture, alle fasce d’età, ai settori produttivi (e non solo), costruendo i possibili scenari proiettando i dati al 31 marzo scorso. I peggiori raccontano come riaprendo tutto quanto, subito e indistintamente, la sanità del Paese salterebbe per aria (altro che collassare), il contagio diverrebbe incontrollato e incontrollabile e le morti anche, di conseguenza. Ma andiamo per ordine.

Punto di partenza: “Le proiezioni epidemiologiche sono state ottenute utilizzando le matrici di contatto per età stimate per l’Italia” e per caratterizzare “i contatti a casa, scuola, sul posto di lavoro, durante l’utilizzo dei trasporti pubblici, nel tempo libero, e in altri luoghi nella comunità (come negozi, poste, banche)”. Con “le matrici” che sarebbero i dati Inail, Istat e i vari altri ufficiali. Due o tre esempi, in sintesi? Il Cts ha assunto che durante il lockdown “i contatti sociali fuori casa/scuola/lavoro (ovvero nei trasporti, per il tempo libero e per le altre attività sociali) si sono ridotti al 10%” di precedenti alla pandemia. Il 15% dei lavoratori, poi, utilizza un mezzo pubblico, quindi “è ragionevole pensare che in caso di riapertura di alcuni settori produttivi ci possa essere un aumento dell’utilizzo dei trasporti sia da parte dei lavoratori che da parte del pubblico”, dunque l’ipotesi è che “i contatti dovuti al trasporto pubblico aumentino al 20%”.

Ancora, i contatti legati al tempo libero aumenterebbero “solo in caso di riapertura delle attività di alloggio e ristorazione” e proprio “il tempo speso in luoghi di ristorazione rappresenta il 24% delle attività di tempo libero”. Risultato? “L’aumento di questo tipo di contatti sarebbe dal 10% al 34%”. E fermo restando che non crescano “i contatti dovuti ad attività all’aria aperta e ad attività sportive e ricreative”.

Altro passaggio, sempre in sintesi. “L’evidenza scientifica attualmente disponibile suggerisce che la suscettibilità all’infezione varia nelle diverse fasce d’età”. Il quadro complessivo è che “gli individui da 0 a 14 anni sono il 66% e meno suscettibili degli individui tra i 15 e i 64 anni”, mentre “gli individui over 65 sono il 47% più suscettibili degli individui da 15 a 64 anni”. E la suscettibilità è la probabilità di contrarre il coronavirus. Infine - annota il Cts nel suo report - “le proiezioni epidemiche sono state ottenute assumendo che sintomatici e asintomatici sono ugualmente infettivi”, come annota “una recente analisi virologica condotta su dati lombardi”.

A conti fatti dagli esperti, quel che farebbe più d’ogni altra cosa saltare il banco è la scuola. “I risultati - si legge nel report - mostrano che riaprire le scuole innescherebbe una nuova e rapida crescita dell’epidemia di Covid-19”. Potrebbe bastare la sola riapertura di queste, per portare “allo sforamento del numero di posti letto in terapia intensiva attualmente disponibili a livello nazionale”, che sono appunto intorno ai 9mila.

Poi, dando che i contatti in comunità non aumentino, “la riapertura dei settori manifatturiero, edile, commercio e ristorazione” avrebbe invece “un impatto minimale sulla trasmissibilità dell’infezione”. Attenzione però, “mentre per il settore edile e manifatturiero questo scenario può considerarsi realistico”, per il settore commerciale e di ristorazione “un aumento di contatti in comunità è da considerarsi un'inevitabile conseguenza dell’apertura di tali settori al pubblico”, dunque “può potenzialmente innescare nuove epidemie”.

Neanche l’analisi degli scenari migliori sembra particolarmente ottimistica. Quelli che manterrebbero l’R-0 (l’indice di trasmissibilità del virus) sotto la soglia di 1 “considerano la riapertura dei settori legati a edilizia, manifattura e commercio, assumendo un’efficacia della protezione delle prime vie respiratorie nel ridurre la trasmissione di Covid-19 del 25%”. E fin qui andrebbe bene. Però “ci sono delle incertezze sul valore dell’efficacia dell’uso di mascherine per la popolazione generale dovute a una limitata evidenza scientifica, sebbene le stesse siano ampiamente consigliate”. E ci sono “variabili non misurabili”, come “il comportamento delle persone dopo la riapertura in termini di adesione alle norme sul distanziamento sociale ed utilizzo delle mascherine e l’efficacia delle disposizioni per ridurre la trasmissione sul trasporto pubblico”. Insomma, anche a mettersi d’impegno, questi “elementi suggeriscono di adottare un approccio a passi progressivi”.

Morale complessiva? Proprio sulle riaperture ”lo spazio di manovra non è molto”, avvisa chiaro il Comitato tecnico scientifico, nero su bianco. Almeno di questi tempi, con questo contagio e soprattutto questo R-0 (attestatosi fra 0,2 e 0,7 e comunque sotto “1”, soglia oltre la quale tornerebbe il peggio). Dunque i risultati ottenuti suggeriscono tre considerazioni agli esperti. La riapertura delle scuole “aumenterebbe in modo significativo il rischio di ottenere una nuova grande ondata epidemica”.Tutti gli scenari di riapertura “in cui si prevede un aumento dei contatti in comunità, innescherebbero una nuova ondata epidemica”. Nella maggior parte degli scenari di riapertura “dei soli settori professionali (con le scuole chiuse), il numero atteso di terapie intensive al picco risulterebbe comunque inferiore alla attuale disponibilità di posti letto a livello nazionale”.

Di contro, “se l’adozione diffusa di dispositivi di protezione individuale riducesse la trasmissibilità del 15%, gli scenari di riapertura del settore commerciali alla comunità potrebbe permettere un contenimento sotto la soglia epidemica solo riuscendo a limitare la trasmissione negli over 60 anni”. E se “l’adozione diffusa di dispositivi di protezione individuale riducesse la trasmissibilità del 25%”, la riapertura “del settore commerciale e di quello della ristorazione alla comunità, potrebbe permettere un contenimento sotto la soglia solo riuscendo a limitare la trasmissione negli over 65 anni”.

Le vie di salvezza resterebbero così sempre le solite, oltre al distanziamento, che resta sempre e comunque quella decisiva. “L’utilizzo diffuso di misure di precauzione (mascherine, igiene delle mani, distanziamento sociale), il rafforzamento delle attività di tracciamento del contatto e l’ulteriore aumento di consapevolezza dei rischi epidemici nella popolazione, potrebbero congiuntamente ridurre in modo sufficiente i rischi di trasmissione per la maggior parte degli scenari sin qui considerati”.

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