lunedì 22 luglio 2019
Diego Boschi, docente di psicologia alla Cattolica, spiega i meccanismi da attivare per sciogliere l'incertezza. La prima domanda da farsi: dove ottengo i maggiori successi?
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I 520 mila maturati italiani nella maggioranza dei casi hanno già scelto cosa "fare dopo". Poco meno di 300mila proseguiranno gli studi e la maggior parte di loro ha già deciso la facoltà da frequentare. La decisione non è mai semplice, con 2.293 corsi di laurea di primo livello e 340 a ciclo unico (più altri 2.221 di secondo livello) l'offerta è davvero ampia: crescono le proposte in inglese e i "double degree" e aumenta il filtro all'ingresso, con il numero programmato che riguarda ormai il 44 per cento dei corsi di laurea. Un aiuto alla scelta può arrivare dal conoscere il tasso di "occupabilità" delle varie lauree: i meglio occupati tra i laureati del 2013, a cinque anni dalla laurea, sono i laureati in ingegneria, economia-statistica e professioni sanitarie (tutte sopra l'89%)

E chi ancora si dibatte nell'incertezza? Ecco alcuni consigli.

«Il primo consiglio a chi ha atteso dopo la maturità per scegliere la facoltà? Mi verrebbe da rispondere con una domanda: perché hai atteso finora?». Il professor Diego Boerchi, docente di psicologia dell’orientamento e dello sviluppo di carriera nel Dipartimento di psicologia dell’Università Cattolica di Milano, non usa giri di parole. «La vera domanda è: perché ho procrastinato fino ad ora?». Dunque prima di indirizzarsi verso un percorso universitario sarebbe meglio fare un esame di se stessi, un «percorso di conoscenza di sé, con l’attenzione puntata a dove ottengo i maggior successi non solo scolastici. E poi – aggiunge il docente – avere una conoscenza dell’offerta formativa e del mercato del lavoro». In tutti i casi, commenta il professore universitario, «un processo di conoscenza non si può improvvisare in poche settimane e neppure sapere cosa offre il panorama universitario e tanto meno quello del lavoro». Insomma il primo insegnamento è proprio quello di «partire prima».

La scuola superiore, sulla carta, dovrebbe aiutare gli studenti a orientarsi.
L’attuale orientamento, fatto con qualche visita, conferenza, non appare affatto efficace rispetto all’obiettivo. A loro volta i docenti delle superiori dovrebbero essere aiutati a recuperare maggiori informazioni da trasferire ai loro studenti.

L’alternanza scuola-lavoro, in quest’ottica, può essere un buon strumento?
Sicuramente un’ottima occasione, purché siano davvero esperienze durante le quali, accanto a un professionista, si possa vedere in cosa consiste il lavoro, ricevendo competenze e metodologie, che aiutano a capire se quell’attività può essere nelle proprie corde. Anche per questo penso che l’alternanza al terzo anno di superiori possa essere anche collettiva, ma nei due anni successivi dovrebbe essere un’esperienza personale e mirata.

Ma di orientamento si parla già nella scuola media.
È vero, ma i risultati, stando ad alcune indagini di Almadiploma, non sono poi così positivi, visto che uno studente su due dichiara che se tornasse indietro cambierebbe indirizzo di studi. E anche l’orientamento per la scelta delle superiori vede gli stesso professori non sempre informati sull’ampia offerta formativa delle superiori. Onestamente nel nostro Paese manca una cultura dell’orientamento fatta con passione e competenza. E i risultati, mi permetta di dire, purtroppo si vedono nel mondo del lavoro.

Quale consiglio darebbe a uno studente di terza superiore in vista della scelta post-diploma?
Dovrebbe, in primo luogo, riflettere sulla propria relazione con il processo di scelta.

In che senso?
Capire come affrontano il "dover scegliere". Magari si portano dietro la paura di sbagliare e allora rinviano fino a quando non è più possibile farlo. Certo ci sono anche ragazzi che hanno le idee chiare, ma non sono la percentuale più consistente. A chi ha fatto una buona scelta già alle medie consiglio di guardare agli sbocchi professionali e ai percorsi formativi andando anche nei contenuti delle materie. A chi, invece, si trovasse con una scelta non fatta bene, consiglio di cercare di conoscersi un po’ meglio, senza escludere la possibilità di farsi aiutare anche da professionisti del settore.

Conoscersi per non sbagliare?
La perdita di un anno di scuola non provoca soltanto un senso di fallimento nello studente o nella studentessa che la deve affrontare. A guardare bene è un danno che ha costi enormi sulla futura vita lavorativa del giovane: entra un anno dopo e rispetto a chi ha un percorso scolastico regolare a fine carriera lavorativa si troverà banalmente con un anno di stipendio in meno. Ecco perché il primo e vero consiglio che va dato agli studenti è di non attendere mai l’ultimo momento per affrontare queste scelte e prendere delle decisioni, ma di mettersi in cammino per tempo.

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