lunedì 7 novembre 2011
​Hanno fatto girare la voce sui social network, si sono dati appuntamento con tweet o sms, poi hanno preso in mano pale, ramazze e picconi e hanno incominciato a ripulire la città. Testi e foto di Nello Scavo 
I FRATELLI: «Il senso di solidarietà viene dall'essere credenti»
IL GRUPPO AGESCI: «Accorgetevi delle risorse nascoste»
JOAQUIM E LUCA: «Dai giovani può ripartire la ricostruzione dell'Italia»
COMMENTA E CONDIVIDI
Nella rinomata trattoria di piazza Romagnosi si pranza gratis: primo, secondo, dessert, bibite e tante grazie. È il menù completo per gli "angeli del fango". Lo stesso in tanti bar di tutta la zona colpita dall’esondazione del Fereggiano. Alla faccia dei luoghi comuni sui genovesi. Il meno che la città potesse fare per gli oltre duemila ragazzi che stanno rimettendo in piedi il capoluogo.Faccia sporca e vestiti che puzzano. A fine giornata non capisci più quali sono gli ultras e quali i ragazzi della Gmg. Uniti dalla melma. Quella spalata via chissà come in ventiquattr’ore, e quella che li ha trasformati in un reggimento monocolore. Se li chiamano "angeli del fango" c’è un perché. "Fosse per me li arruolerei tutti senza concorso", esclama un colonnello del genio dell’Esercito arrivato con oltre 130 mezzi: escavatrici, autoribaltabili, pale meccaniche, motopompe, materiale per costruire ponti e due elicotteri Ab-205. Poco lontano centinaia di adolescenti scendevano dai bus di linea indossando stivali di gomma, guanti da lavoro prestati da papà e ogni genere di arnese: dal bidone aspiratutto al carrello del supermercato, e poi pale, ramazze, picconi, barili vuoti.Come neanche nei film con il migliore dei lieto fine, mentre i ragazzi accorrevano, da piazza Alimonda saliva il brusio di un’altra folla inattesa. Vanghe in spalla e sciarpa rossoblù al collo, gli ultras del Genoa si sono uniti agli "angeli" che da venerdì lavorano nel rione Marassi. «Quando siamo arrivati, anziché guardarci con diffidenza e ostilità, come spesso accade, la gente ci è corsa incontro», racconta Fabrizio Fileni, uno dei capi ultrà.Dove non arrivano le ruspe, si tuffano gli "angeli". Le ragazze, poi, con un coraggio che non diresti. Magrissime nei loro jeans taglia 40, saltano giù dalle macerie trascinando detriti pesanti come macigni. Eroiche formichine che si concedono una pausa solo per rispondere agli sms di mamma.Del resto tutto è cominciato dal passaparola su computer e telefonini. «Mi è arrivato un messaggio su "Face" e subito ho mandato un "tweet" ai miei duecento followers», dice Filippo, 14 anni, prima liceo scientifico, piuttosto scocciato di doversi spiegare meglio: «Prima l’appello su Facebook – dice sillabando ogni parola, più per sfottò che per buona volontà –, poi i messaggi brevi su Twitter che in tempo reale sono stati recapitati a tutti i miei amici». Insomma, merito dei discussi social network, se sui cellulari dei genovesi più giovani è suonata una chiamata ai badili che ha portato nell’epicentro del disastro l’esercito che non ti aspetti. Età media: vent’anni, forse meno. Non ci fossero stati loro, Genova avrebbe ancora il volto coperto di melma.Ludovica, Alice, Arianna e le due Martina sono un po’ le mascotte. Quattordici anni ciascuna, ormai le chiamano le Winx di via Fereggiano. «Siamo amiche e compagne di scuola – raccontano pressoché in coro, proprio come le protagoniste dei cartoni a cui le hanno accomunate –. Davanti alle immagini viste su Youtube non potevamo restare solo a guardare». Senza neanche sapere da dove cominciare hanno deciso di salire fino in cima al caseggiato più colpito. E i vostri genitori? «Ci hanno solo detto di non farci male». Appena finito di sgomberare un negozio hanno chiesto ai vigili del fuoco dove servisse aiuto: «Adesso ci spostiamo in una cantina, finché ce la facciamo andiamo avanti». Due di loro frequentano i gruppi giovanili della Parrocchia San Fede. «Davanti a questa tragedia siamo genovesi che aiutano altri genovesi».Edoardo e Noemi avrebbero dovuto trascorrere mano nella mano l’attesa passeggiata del sabato sul lungomare. «Invece abbiamo raccolto vestiti da lavoro, stivaloni, una vanga e una ramazza». Poi, mano nella mano, sono arrivati in via Feraggiano. Inseparabili anche in mezzo alle carcasse d’auto e al puzzo di fogna che sale dai tombini esplosi. Vent’anni ciascuno, Edoardo Ceccarelli e Noemi Belvisi, non si sono risparmiati. Lui in tuta blu da metalmeccanico, lei con i riccioli sempre in ordine nonostante il gran da fare. Edoardo spera di laurearsi in Ingegneria navale nautica, Noemi completerà il liceo. «La verità – ammette lui – è che siamo abituati alla bella vita, ad avere tutto, a dare per scontato che le cose andranno in un certo modo». Poi accade l’imponderabile: «Ci si sente confusi, disorientati – osserva Noemi – ma grazie alla reazione comune, in questo caso di tanti giovani, come per magia si sa esattamente cosa fare». E loro, angeli per un giorno, lo hanno fatto.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: