mercoledì 17 marzo 2010
Le istituzioni, invisibili, hanno deluso. I progetti di risanamento sociale sono rimasti al palo. In trincea restano sacerdoti, suore, diaconi, volontari.
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Bisogna muoversi nelle strade larghe e in quelle dove si affollano le persone, addentrarsi nei Lotti ordinati alfabeticamente, fermarsi davanti alle chiese e alle scuole per incontrare l’altra faccia di Scampìa, per scorgere i tratti della sofferenza e dell’impegno e districarli e pulirli dalla violenza e dai soprusi criminosi. «Impastarsi con la gente» dice con gli occhi luccicanti suor Ornella delle Suore Poverelle di Bergamo, che tiene Scampìa nel cuore. Scampìa e il nome evoca sangue e orrori, sconci edilizi e urbanistici. Eppure il quartiere della periferia di Napoli, porta nord della città, sospeso tra delusione e speranza, ha vivacità, fantasia, partecipazione, dà calore, accoglienza, disponibilità. «Per capire bene Scampìa  devi calpestare la sua terra tutti i giorni e salire le scale delle Vele e incontrare i poveri. Si trova gente meravigliosa, carica di bene» ribadisce suor Ornella. «Per vivere la nostra realtà bisogna conoscerla» insiste Anna, assistente sociale in cerca di lavoro, volontaria all’Oasi del Buon Pastore, struttura di ascolto, di accoglienza, di animazione, estensione della prima parrocchia di Scampìa, la Resurrezione, che da 40 anni, dalla zona più vecchia del quartiere, con don Vittorio Siciliani è sentinella dei sogni, garante delle promesse. È salda, viva, intensa la presenza della Chiesa a Scampìa e le quattro parrocchie, la Rettoria dei Padri Gesuiti, il seminario dei Missionari della Redenzione, il Centro Apostolico "Giovanni Paolo II" delle Suore Poverelle di Bergamo, si adoperano con gratuità a dare sollievo alle anime e ristoro ai corpi, a disegnare un orizzonte alternativo alla malavita, a lanciare uno sguardo al futuro. Senza assistenzialismo, ma facendo crescere la voglia di riscatto dalla rassegnazione, dalla povertà, dagli abusi. L’Oasi del Buon Pastore è uno dei ripari dove tentare nuove vie. Nelle cronache criminali l’Oasi è assimilata a droga, armi, prostituzione e la fermata omonima dell’autobus indica a chi già sa i luoghi degli oscuri traffici. Invece, spiega Anna, «l’Oasi nasce come speranza ed è luogo di speranza». Qui si alternano catechismo e consulenza legale gratuita, il doposcuola guidato dai Fratelli delle Scuole Cristiane, che vicino hanno una loro Casa, i giochi animati anche con i volontari della parrocchia gemellata di sant’Antonio a Posillipo, i gruppi di preghiera e la Caritas. «I confini sono fragili, si convive con l’illegalità più acuta. Per le famiglie di Scampìa l’Oasi è però una realtà che offre sostegno - osserva ancora Anna. - Il bisogno c’è, per vari motivi. Da noi vengono anche i bambini e i ragazzi che vivono ai margini di tutto, quelli mal guidati. Non respingiamo nessuno, anche se è impossibile recuperare tutti, ma è una vittoria mostrare loro che un’altra vita è possibile. Molti lo capiscono e ricambiano con un affetto profondo e incredibile». Bambini e ragazzi poco avvezzi a ricevere attenzione e gesti di tenerezza. «Quando aiuti una persona, una famiglia a uscire da certe situazioni, anche drammatiche, smuovi qualcosa e semini, dai un segnale» racconta suor Ornella, che coordina il Centro Ascolto della Caritas di Scampìa e i volontari nel vicino carcere di Secondigliano. La delusione è riservata alle istituzioni, invisibili e silenti, per i progetti avviati e rimasti sospesi: lo Stato c’è, ammettono tutti, il problema è la verifica dei risultati degli investimenti fatti. La Chiesa è l’unica presente, giorno dopo giorno. In trincea ci sono i sacerdoti, i diaconi, i volontari: «Sappiamo di non poter fare tutto da soli, ma non ci fermiamo» osserva il decano don Francesco Minervino, con il pensiero al recente documento dei vescovi italiani sul Mezzogiorno. Il male c’è, resiste, né il disagio né la criminalità sembrano avere soluzione immediata, ma «conta - commenta suor Ornella - anche il bene che cammina». 
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